domenica 28 novembre 2010

Serial reader: Ti ricordi di me?

Premetto: Sophie Kinsella non mi ha convinto con la sua serie di I love shopping. Ho letto tre dei suoi volumi grazie alla mia nipotona e sinceramente li ho trovati divertenti, ma nulla più. Niente a che vedere con l'autentico spasso di Helen Fieldin e della sua Bridget Jones.
Ho acquistato "Ti ricordi di me? " qualche settimana fa. Occhieggiava sulla mensola del mio edicolante di fiducia e io che sono una mani bucate di prima categoria per quanto riguarda i libri, non ho resistito. Ero pronta a passarlo senza rimorsi alla nipote di cui sopra e invece... credo proprio che lo terrò!
Il romanzo è carino: la protagonista, Lexi Smart ha sicuramente più spessore della svampita e un po' irritante Becky. Come al solito, l'Autrice usa la prima persona per narrare la vicenda ma lo fa con pudore, in certi passaggi quasi con intimità. Mi sono trovata a soffrire, a provare il suo imbarazzo, a struggermi per le cose che Lexi aveva perduto e di cui non riusciva a ricordare nulla.
Già: Lexi è vittima di una amnesia selettiva che ha cancellato 3 anni della sua vita, regalandole un marito e un lavoro da favola. Ma, nello stesso tempo le ha tolto le sue amiche, la sorella e l'allegria. Un'esperienza crudele in una certa misura, che la costringe a fare i conti con ciò che è diventata e a confrontarsi con i suoi ricordi di ventiquattrenne imbranata e bruttarella. Perchè Lexi adesso è un vero e proprio squalo in carriera: bella, ricchissima, potente e assolutamente priva di amici.
Ti ricordi di me è un romanzo particolare: lo si può leggere come un divertente, fantasioso chick lit... oppure cogliere tra le righe il "tesoro nascosto". La paura del cambiamento che avviene senza la nostra consapevolezza, il timore di perdere ciò che abbiamo piuttosto che ciò che siamo e , nello stesso tempo, la comprensione che nulla e nessuno potrà soppiantare la nostra vera natura. In certi passaggi, mi sono commossa: ho avvertito con chiarezza il disorientamento di Lexi dinanzi a una vita che non le apparteneva più, ma che tutti si ostinano a propinarle come perfetta. Quante volte ci è capitato di guardarci allo specchio e confessare di non riconoscere più la persona che ci sta fissando? Quante volte ci chiediamo quanto siamo cambiati e perchè, e quando siamo cambiati così tanto?
Ecco. Questo libro parla di emozioni fastidiose. Lo fa con leggerezza, estremizzando i comportamenti, ma mette il dito nella piaga: noi cambiamo e cambinao le persone che ci stanno accanto. E' la vita che ci porta a fare determinate scelte e non possiamo far altro che affrontarla, a viso aperto, cercando sempre di mantenere il contatto diretto con la realtà, la vita vera: quella fatta dall'affetto e dal coraggio delle persone che ci sono accanto.

Serial reader: l'avvento di Amazon in Italia.

Amazon.it: ci siamo.
Sì, mi rendo conto che questo post non riguarda strettamente un libro, ma credo che Serial reader sia la rubrica adatta per poterne parlare.
Amazon è un vero e proprio colosso delle vendite on line. In Gran Bretagna e negli Usa non si limita a proporre libri e DvD, ma altro genere di merce: abbigliamento e accessori - tra cui le mie amatissime scarpe Fly London - supporti informatici, gadgets (come quelli del DOCTOR WHO), giocattoli e persino piccoli elettrodomestici. Tralasciando le considerazioni sul mercato on line e sulla diffidenza tutta nostrana verso gli acquisti con carta di credito, c'è qualcosa che posso già dirvi.
Amazon funziona: io sono una cliente affezionata, compro lì i testi in lingua straniera - a prezzi bassi che in Italia è quasi impossibile ottenere  - e ha un'ottima politica per quanto concerne i refund, ossia il reso nel caso in cui l'articolo scelto non sia più disponibile. In pratica, la somma che loro bloccano sulla carta di credito viene riversata in 10 giorni effettivi ma non solo: se nel frattempo, l'articolo scelto ha subito una riduzione di prezzo, Amazon rimborsa la differenza, sia pure minima. Anche i testi che ho acquistato in seconda mano - poiché su Amazon.uk è possibile acquistare in second hand - sono ben tenuti e con un ottimo rapporto qualità-prezzo.
Adesso sono curiosa di vedere come si comporterà questo colosso delle vendite on line sotto il cielo italico: se continuerà  a mantenere l'aplomb e la precisione britannica o se si farà contaminare dall'atmosfera caciarona e approssimativa che da sempre contraddistingue la nostra nazione.
Sinceramente spero di no. Ho notato che l'offerta, seppur vantaggiosa e ampia, è ancora un po' limitata: molti testi non sono disponibili e ci si limita solo alla vendita di libri, musica e dvd. Nulla di diverso rispetto a IBS o Bol, veri padroni del mercato on line in Italia. Assai intelligente invece mi pare la scelta di premiare i clienti con Amazon prime, un'iniziativa con cui si eliminano le spese di spedizione e si fidelizzano i clienti. Purtroppo non è disponibile per tutte le zone d'italia (io, ovviamente, risiedo in quelle escluse) ma spero che si risolva presto tale inconveniente.
Io ho fatto un primo ordine "cauto", in attesa di vedere tempie e modi di consegna. Se andrà bene... luciderò la mia carta di credito!

Off topic

In questi giorni sono molto incasinata: ristrutturazione di casa, bambini, lavoro, revisioni di più lavori contemporaneamente, lettura... Insomma, ho trascurato il mio piccolo blog e voi, miei cari amici.
Tuttavia, tra una cesta di panni da stirare e l 'ultimo libro di Mc Ewan, Solar, ho trovato due minuti per scrivervi. Aspettatevi a stretto giro di posta un'intervista, un nuovo capitolo di Auld Reekie e recensioni per behind the scenes. Un paio di queste saranno datate, nel senso che sono già state pubblicate da Alessandra in Diario di pensieri persi, altre sareanno nuove di zecca.
Va bene, credo di aver detto tutto o quasi... vi auguro una bella settimana! :-)

martedì 23 novembre 2010

Behind the scenes: Weirde de L'arte di scrivere

Oggi è venuta a trovarci Weirde, Maria Chiara Cabrini, famosissima owner di  L'arte dello scrivere... forse, blog dedicato quasi esclusivamente all'urban fantasy, nonché del paranormal. E' una figura molto conosciuta in rete, ed è un piacere averla qui con noi.




Cara, benvenuta! Finalmente un'amica che non ha timore di entrare qui a Moray Place e di affrontare i miei amici. Samuel ci ha concesso di usare il suo studio... sai, quello con il quadro di Turner che ama tanto.
Allora. Abbiamo the e biscotti in abbondanza: parlaci un po' di te e della tua vita. come mai hai scelto un soprannome così originale? Weird significa strano, eppure tu sei una persona molto pacata!


william turnerAnche io adoro Turner, in particolare Annibale che attraversa le Alpi. La storica dell'arte che è in me a volte riemerge e tenta di sopraffare il mio lato di lettrice compulsiva. Grazie dei biscotti ho proprio voglia di qualcosa di dolce.

Dunque, il mio soprannome è nato del tutto per caso, come molte cose nella mia vita del resto. Sono una persona terribilmente pigra e tendo a lasciarmi trasportare dalla corrente il più delle volte. Una delle mie canzoni preferite è Creep dei Radiohead, che nel ritornello fa I'm a creeep I'm a weirdo. Weirdo era già utilizzato perciò per iscrivermi a splinder usai Weirde. E lo uso ancora oggi.

Ho studiato all'università Storia dell'arte, ma il mio sogno è sempre stato scrivere e possibilmente lavorare nel mondo dell'editoria. Il mio blog però non è certo nato per aiutarmi in questa mia ispirazione, anzi....mi iscrissi a splinder per messaggiare con un'amica, poi visto che ero iscritta mi dissi, perhè non aprire un blog? All'inizio naturalmente non sapevo cosa scrivere nel blog, poi ho deciso di parlare di ciò che amo di più: i libri. E tutto è nato da lì. Molto semplicemente. 


Sei la paladina dell'urban fantasy per adulti in Italia, oltre che una seguitissima blogger. Come ci si sente in questi panni?


Paladina, che parolone. In realtà mi limito a esprimere le mie preferenze molto liberamente riguardo ai libro che leggo, che mi piacciono, non mi piacciono o che credo potrebbe valer la pena fare arrivare in Italia. Sono una persona molto pragmatica in alcuni campi e tendo a prendere posizioni ben precise da cui difficilmente mi discosto. Credo e ho sempre creduto che l'editoria dovrebbe saper ascoltare meglio i lettori italiani, anche per migliorare i propri affari, non solo per dare ai lettori scelta di generi più ampi. Mi adopero in questo senso. Nel mio piccolo. Che è Molto piccolo. E non mi sento diversa da come ero prima. Sì abbiamo smosso qualcosina ma molto poco in fondo. L'unica cosa che veramente è cambiata molto per me grazie al blog è la mia visione del mondo di internet, che da negativa è diventata molto più positiva. In rete non si trovano solo pericoli, truffe, pervertiti, c'è anche un mondo di gente seria e molto disponibile. Oggi ho molti contatti con persone che come me amano i libri sopra ogni cosa. Siamo in tanti e spero saremo sempre di più. Anche se non mi faccio troppe illusioni.
Quanto peso ha la lettura nella tua vita? E, visto che sei anche una bravissima autrice di fantasy, cosa è più importante per te, come autrice?


a lettura nella mia vita è sempre stata importante, leggevo già prima di andare a scuola e ancora prima di saper leggere amavo sentire i miei genitori leggermi le favole. Li torturavo poverini. Me li leggevano talmente tante volte che ormai li conoscevano a memoria e anche io, perciò se a volte sgarravano e saltavo delle frasi li correggevo. Ho sempre amato leggere, trovare conforto in mondi strani lontani fantasiosi. Far volare la fantasia. Ancora oggi devo assolutamente trovare il tempo di leggere i divento di cattivo umore.

La scrittura è un altro paio di maniche. Amo raccontare storie e la fantasia non mi manca, ma tra l'immaginarsi una storia e scriverla molto ci passa. Scrivere può essere molto frustrante specie se non si riesce a farsi pubblicare.



Esiste un libro che hai amato e che ti ha fatto esclamare : "vorrei averlo scritto io" ? E uno che hai chiuso con la sensazione di noia, peso o disagio? So che sei una forte lettrice e dunque, molto esigente...


Ho diversi libri preferiti che ho consumato a forza di leggere e non scherzo giuro sono veramente consunti. Ti cito solo i tre che amo sopra ogni cosa. Padiglioni lontani, di M. M. Kaye che vorrei venisse rivalutato dal grande pubblico. Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen. E un fantasy Lo specchio dei sogni, di Donaldson. Tra i tre vorrei aver scritto Orgoglio e pregiudizio! Mi accontento.

Leggo veramente molto e spesso mi capita di leggere libri che non mi esaltano, ma è difficilissimo che non li finisca di leggere. Mi è capitato solo una volta con Le affinità elettive di Goethe. Odiavo troppo il protagonista traditore. Veramente troppo.


Hai fatto conoscere in Italia Kery Arthur. Quale autore o autrice italiana porteresti all'estero?

Chi porterei all'estero? MMm Domanda difficile ci sarebbe una autrice di nome Stefania Auci in cui credo molto.


Ok, non facciamo caso a questa risposta!! Troppo buona davvero!Domanda cattivissima, che già immagini. Editoria italiana: che ne pensi?


Editoria italiana... Ampio argomento. Voglio cercare essere giusta. Come in tutti i paesi del mondo, America compresa, l'editoria ha un fine, che è guadagnare vendendo libri. Ergo deve convincere il pubblico a comprare i libri che pubblica. Ergo deve puntare su autori che vengano comprati perchè o già famosi o famosi all'estero perciò si spera lo diventeranno anche qui, o su autori che vadano di moda.
Non c'è spazio in questo mondo per ideali o per generi di nicchia purtroppo. Nè per tentare di lanciare autori emergenti nostrani. Spero che internet e la globalizzazione aiuteranno almeno la diffusione di più generi, ma prevedo e non credere sia una strega del malaugurio, lo prevedo perchè in Amreica stà già avvenendo. Prevedo che il digitale, cioè gli ebook si faranno strada anche da noi con il conseguente pericolo della diffusione piratesca di file, che porterà ad un calo delle vendite, come avvenuto per la musica del resto. Solo in scala minore.

Ecco, anche per oggi abbiamo finito. E' stato un piacere ed un onore per tutti noi, umani e non, riceverti qui! A presto!


Grazie a te per avermi invitato! E buonissimi questi biscotti... la ricetta?

venerdì 19 novembre 2010

Auld Reekie #6

Non si può andare contro il proprio destino.
Il cerchio si stringe.




6


Edimburgo

George Dyce camminò a lungo. La sua mente non era in grado di ricordare la strada di casa: si lasciò spintonare dai passanti, mettendo i piedi in mezzo ai liquami, gli occhi fissi nel vuoto, mentre i passanti gli scoccavano sguardi pieni di commiserazione.
Solo quando raggiunse Calton Road riuscì a recuperare un po’ di lucidità. Si fermò appoggiandosi al muro e si costrinse a respirare profondamente per calmarsi; poi guardò attorno a sé, accorgendosi per la prima volta di dove si trovasse. Arrivato ad Albany street, aveva recuperato il completo controllo.
Salì in fretta i gradini della bella palazzina georgiana, come se volesse fuggire dalla strada. Le voci petulanti delle sue figlie di sedici e diciotto anni lo raggiunsero, rassicurandolo, quasi confortandolo: discutevano per qualcosa che aveva a che fare con dei cappellini. Era bello essere a casa, pensò avviandosi verso il piano superiore.
«Dottore?». La voce ansiosa della governante lo raggiunse a metà delle scale.
«Dica, Emmeline», sospirò esasperato, sfilandosi i guanti.
«Siete atteso, signore».
«Visite?», grugnì. Era contrariato, stanco e desiderava solo riposare per tutto il pomeriggio.
«Sì, signore. Due gentiluomini da Londra». Gli porse due biglietti da visita.
Dyce sobbalzò. Burgess e Corbridge? Qui?
«Dove sono?» chiese, scendendo a precipizio i gradini.
«Nel salottino con vostra moglie».
Entrò nel salone a passi rapidi. Sua moglie lo squadrò con i grandi occhi castani spalancati e uno sguardo equamente diviso tra perplessità e spavento. Matronale e dignitosa, era rimasta senza parole dinanzi all’irruzione improvvisa, senza capire perché suo marito fosse tanto pallido. Muriel Dyce, donnetta prosaica e priva di immaginazione, non poteva immaginare chi fossero davvero quegli amici di suo marito.
Perché Michael Burgess e Spencer Corbridge non erano solo compagni di vecchia data di George Dyce. Erano i capi della Fratellanza della Luce.
Il medico congedò la moglie con un sorriso di circostanza e invitò i due amici a sedersi con lui al tavolo. Compagni di bagordi nell’età dell’università, avevano cementato la loro amicizia circa vent’anni addietro, quando si erano scontrati con l’impossibile.
«Quando siete arrivati?».
A rispondere fu Corbridge. Alto e sottile, viso allungato di un pallore quasi grigiastro, occhi scuri, piccoli baffetti; non sembrava essere molto forte, anzi. Tra i quaranta e cinquant’anni, medico come Dyce, esercitava a Londra e godeva di ottima fama. Era una delle persone verso cui George nutriva maggior stima… e timore. Bastava fissare quegli occhi di ghiaietto per capire che era un uomo da non prendere sottogamba.
«Ieri sera tardi. Siamo stati a Newcastle, poi abbiamo pensato di venire a dare un’occhiata fin quassù».
«Bene. Perché… pensavo di scrivervi. Credo di aver trovato… degli indizi che riportano a ciò che avete trovato a Londra». George si versò un bicchiere generoso di brandy e lo bevve a larghi sorsi. Di solito, non beveva tanto, ma quel giorno tutto il mondo sembrava aver deciso di andare per conto suo senza chiedere il permesso.
«Ti riferisci alla mia lettera?» domandò Michael Burgess, appollaiandosi sul bracciolo della poltrona occupata da Dyce. Capelli color sabbia, muscoloso quanto poteva esserlo un ex campione di canottaggio di Cambridge, occhi verdi pungenti, carnagione chiara, aveva la stessa età di George Dyce. Con lui il tempo era stato indulgente: fascinoso, scapolo impenitente e notaio presso St. Albans, aveva un’espressione indolente che dissimulava una capacità di osservazione fuori dal comune. Aveva anche una leggera zoppia, conseguenza di una fuga precipitosa sui tetti di Londra, mentre era in caccia di uno dei suoi nemici.
«Esatto. Ho trovato una coincidenza tra ciò che tu mi avevi scritto e le notizie che mi ha comunicato James Faber da York. Si tratta di una lettera». Dyce parlò in fretta, sottovoce, lo sguardo che saettava dall’uno all’altro.
Burgess strinse gli occhi, curioso «Faber? Il nostro Fratello osservatore di York? E cosa è accaduto?».
«Pochi giorni fa, i Fratelli dello Yorkshire hanno trovato uno di quei mostri, l’hanno catturato ed eliminato. Portava con sé della corrispondenza: sembra fosse un corriere o qualcosa del genere. Non ne avete saputo nulla?».
«No. Siamo lontani da Londra da parecchio e non abbiamo avuto comunicazioni recenti da York», rispose Burgess, disorientato. Corbridge ebbe una smorfia perplessa.
D’improvviso, Dyce si rilassò nella poltrona con un sospiro pesante. «Allora credo che ci aspetti un lungo pomeriggio. Ho molte notizie da darvi».
Corbridge si accomodò su una panca di fronte agli altri due. «Procediamo con ordine, George. Faber ti ha scritto che quell’essere immondo portava delle lettere. Per chi?».
«Si tratta di una missiva indirizzata al Master delle Highlands. L’indirizzo è Edimburgo, Canongate, 15».
George fece una pausa per riprendere fiato. Sfilò gli occhiali, mentre le ipotesi nebulose che gli affollavano il cervello assumevano contorni nitidi. E lo spaventavano, sempre più.
«Ieri è arrivata una lettera da Richard Tellman, il vostro sostituto a Londra. Mi ha scritto che nella cassaforte che avete trovato il mese scorso nel covo distrutto, c’erano delle lettere tra il capo della comunità londinese e altri Masters. Due di queste provenivano da Edimburgo».
Burgess alzò le sopracciglia, stupefatto «Davvero? Siamo partiti dopo aver distrutto il rifugio di Londra e non abbiamo avuto il tempo di visionare i documenti».
George mosse le mani per bloccarlo. «Ascolta: le lettere provenienti da Edimburgo sono datate 1782, dunque hanno più di cinquant’anni. Una di queste è la comunicazione dell’acquisizione di una quota di proprietà una società di commercio. La transazione era stata curata da un avvocato, tale O. W. G. L’altra, una missiva privata, è a firma di un tale S. Per entrambe l’indirizzo era Canongate 15».
Con un sospiro spezzato, Spencer Corbridge si appoggiò con la schiena contro il muro. «Coincidenza a dir poco sospetta», commentò asciutto.
Dyce lanciò un lungo sguardo ai due: la frizzante sensazione di trionfo che avvertiva si mescolò a una paura latente che gli serpeggiava nell’anima, ai margini della coscienza. Continuò a raccontare.
«Non è ancora finita: alcuni giorni fa un uomo ha chiesto un consulto per sua moglie, poiché teme sia sterile. Si chiama Griffin, si è trasferito in città dal nord della Scozia circa dieci anni fa. Da quello stesso periodo, abitano con loro dei cugini della moglie: due donne e un uomo per l’esattezza. Non ho fatto caso subito all’indirizzo ma quando ieri ho ricevuto la lettera di Richard Tellman, ho fatto un salto sulla sedia».
«Fammi indovinare: il numero 15 di Canongate?». Burgess tirò fuori dalla tasca della giacca un astuccio portasigari e iniziò a fumare. George annuì in silenzio, poi si coprì il volto con le mani. Non sapeva come spiegare quello stato di malessere che l’aveva sconvolto, sin da quando era andato via dalla casa dei Griffin.
Proseguì, stanco, con gli occhi fissi sul pavimento. Le parole erano diventate difficili da pronunciare «Così ho pensato di approfittare della richiesta per dare un’occhiata, tentare di capire se potessero essere davvero… loro. ».
Dyce bevve un altro sorso di liquore e riprese a parlare. «Pensavo di scrivere un resoconto stasera, per chiedervi di venire qui… Perché di dubbi ne ho parecchi. Stamane ho visitato la moglie di Griffin e…».
Stavolta furono Burgess e Corbridge a sussultare. «Tu hai fatto che cosa?», guaì Corbridge.
Burgess afferrò George per il braccio, costringendolo a voltarsi. «Era viva?».
Un rivolo di angoscia scivolò lungo la schiena del medico. La risposta che la sua mente gli diede fu ; tuttavia un’altra sensazione, più profonda, viscerale, lo aggredì impedendogli di rispondere subito. Un malessere difficile da spiegare, un brivido freddo di panico di cui non riusciva a liberarsi in alcun modo.
«Sì», sussurrò incerto.
Spencer Corbridge lo fissò, studiandolo in silenzio. I suoi occhi brillavano come pietre bagnate in fondo a una scodella. «Potrebbe essere una schiava umana: a Cardiff ne abbiamo trovate due». Poi tornò a studiare il volto di George: pareva invecchiato di colpo. «Sei assolutamente sicuro che fosse viva?».
«Credo di sì», ammise George infine. Sospirò pesantemente. «Con questa visita non ho fatto altro che complicarmi la vita… ho così tanti dubbi!».
«Perché?», lo incalzò Michael.
«Le due donne che io ho conosciuto non sono diverse da mia moglie o dalle figlie. Vestono allo stesso modo, parlano come loro. Non hanno nulla di diverso, a parte il pallore e la bellezza>>.
«Le loro femmine sono sempre molto belle: si tratta di strategia di caccia, dovresti saperlo», interloquì Michael, soffiando una nuvola di fumo che si dissolse con lentezza. Poi sorrise, indolente. «Ti trovo un po’ arrugginito, George: una volta non avresti avuto tutte queste incertezze».
«Li hai visti mai mangiare? Fare qualcosa di umano?», lo incalzò Spencer.
Dyce si fermò a riflettere. Scosse la testa, dubbioso. «Non sono il tipo di persone che Muriel vuole frequentare, se capite cosa intendo. Tuttavia, stamane Griffin ha bevuto davanti a me. In realtà, l’ho quasi sfidato a bere il suo Porto: non ne aveva toccato una goccia».
«La servitù?», proseguì Corbridge.
«Hanno una governante, una cuoca, una cameriera e una sguattera di cucina, che non dormono in casa; possiedono una carrozza e dei cavalli. Il fatto che abbiano della servitù per la cucina è uno dei dati che mi ha lasciato più perplesso», considerò Dyce con una smorfia.
«Potrebbero fingere di mangiare: a Londra, il loro capo aveva uno stuolo di servitori umani che non hanno mai sospettato nulla. E poi, qui a Edimburgo non è così difficile liberarsi del cibo: ho visto gettare di tutto dalle finestre», commentò Michael, sarcastico. «Dovremmo saperne di più. C’è modo di investigare su di loro senza destare sospetti?».
George fece una smorfia, dubbioso. «Sarà difficile. Notoriamente, Samuel Griffin è molto riservato e…».
Le parole gli morirono in gola, ghiacciandosi. Si portò la mano alla bocca. Samuel Griffin.
Samuel.
S., Edimburgo Canongate 15
Burgess lo fissò con occhi spalancati. «S….», bisbigliò, attonito. «S è l’iniziale di Samuel». Corbridge lasciò scorrere lo sguardo dall’uno all’altro, gelido. «Mutano il cognome, spariscono per anni, ma non rinunciano mai al loro vero nome».
George Dyce si passò la mano davanti agli occhi, quasi tentando di svegliarsi da quel sogno strampalato. Non era possibile. Era folle. Di più: irreale.
Eppure, era perfettamente logico. Tutto andava al suo posto in quel puzzle così assurdo.
Erano lì, per davvero.
Avevano trovato i vampiri di Edimburgo.

giovedì 18 novembre 2010

Behind the scenes: Francy e Vivienne di La mia Biblioteca Romantica

Da molti giorni non ospitiamo nessuno qui a Moray Place. Certo, tra Halloween, la festa di Samhain e quant'altro, i miei amici ed io siamo stati davvero molto occupati. Oggi riceviamo con piacere due amiche di lunga data, Vivienne e Francy de La mia Biblioteca romantica. E' un piacere averle qui, poiché sono state tra le mie primissime sostenitrici e ho per loro un affetto e una stima speciale.
Eccole!!

Ragazze, benvenute! Ma... Vivi, come ti sei intabarrata? Cos'hai lì? Crocifissi? Acqua santa?!!? Naaaa... mettiti comoda e non preoccuparti: nessuno torcerà il tuo grazioso collo.
 E tu Francy? Paura anche tu? Su, venite... Accomodiamoci nel giardino d'inverno, sul retro, dove ci aspettano un vassoio di cioccolata calda e fette di cheesecake. Allora... raccontatemi di voi: so che Biblioteca è uno dei più antichi blog romance esistenti in Italia. Come è nato e come vi siete conosciute?

F. : Il piacere è reciproco cara Stefi! 
Dunque, l'idea per LA MIA BIBLIOTECA ROMANTICA è nata verso l'estate del 2007 (anche se poi ufficialmente ho iniziato a pubblicarlo il 15 febbraio 2008 ...yes, very romantic, aren't I?). In quel periodo scrivere un blog stava diventando una mania dilagante  e mi venne voglia di sperimentare in prima persona questo nuovo modello espressivo.   
Qualche tempo prima avevo scoperto il sito ( quello, sì, vero pioniere del romance in rete!) 'Romanzi Rosa Homage' di Ainos ed entrando nella sua mailing list, ebbi modo di conoscere diverse appassionate del genere, le famose 'Roselle', e di condividere con alcune di loro il progetto di aprire un sito italiano interamente dedicato al genere romance sulla falsa riga di quelli americani già allora numerosissimi in rete.
Quel progetto però non andò  mai in porto: troppe personalità e finalità diverse, non  riuscivamo  a metterci daccordo quasi su nulla.Ma, come spesso accade, da quell'esperienza di condivisione di idee presero vita  diversi progetti autonomi, uno dei quali  il mio, con una stessa matrice di fondo: sdoganare il 'genere rosa', parlare di romance a tutto tondo come un tipo di fiction allo stesso livello di tutti gli altri generi d'intrattenimento.
Io già conoscevo e consultavo i principali siti romance americani per scegliere le mie letture in inglese e mi sarebbe piaciuto fare  qualcosa di simile, ma non un portale (troppo complicato), bensì un blog : piccolo, personale,indipendente, curato anche graficamente, in cui parlare delle mie letture, sperando che la cosa interessasse anche ad altri. Ha funzionato. 
Inizialmente, fra le altre cose,  parlavo soprattutto dei romanzi che leggevo in inglese, ma poi mi è sembrato giusto trattare anche dei romanzi rosa tradotti in italiano (perchè la maggior parte delle lettrici non leggeva, e non legge, in lingua originale) e, come naturale conseguenza,  le porte del blog si sono poi aperte  alle autrici romance italiane, soprattutto  perchè mi sembravano una 'specie' assolutamente da proteggere! Siete così poche e che fatica fate ogni volta per riuscire a pubblicare! Colpa dell'esterofilia italiana. Le autrici straniere non riescono  a capire come mai in Italia si pubblichino prima i romanzi scritti da loro che da quelle di casa nostra.
 
L'incontro con Vivienne, è stato casuale ma molto fortunato, sia per me che per il blog. Ci siamo conosciute tramite mail, perchè lei aveva scoperto che leggevo i romanzi di Suzanne Brockmann ,che piacevano anche a lei, e da lì ha comiciato a svilupparsi un'amicizia via mail che nel tempo ha dato vita anche a una preziosa collaborazione sul blog. Oltre a me e a Viv dopo alcuni mesi si è poi aggiunta Rachele, anche lei conosciuta in rete, che legge solo in italiano ed è una lettrice molto più veloce di me e  riesce,di conseguenza, a regalare al blog molte recensioni di romanzi appena usciti , soprattutto di quei paranormali che nè a me nè a Viv piacciono più di tanto. L'entrata di Rachele nel nostro ristretto team è stato un ulteriore arricchimento per il blog. Fare quello che facciamo continua a divertirci molto (anche se implica molto  impegno)  e il costante aumento del numero dei lettori , soprattutto delle lettrici fisse ed 'affezionate', ci dice che il divertimento è reciproco. Questa è per me la migliore delle ricompense.

V.E' vero Stefy, non mi sento affatto a mio agio qui da te. Non vorrei che qualche tuo caro amico dai denti aguzzi mi capitasse tra testa e collo!! Una battuta davvero penosa. Comunque, Francesca ti ha già raccontato più o meno di come è andato il nostro incontro: colpa della Suzanne Brockmann! Ma non ti ha detto che io, prima di incominciare la nostra amicizia epistolare, NON LEGGEVO ROMANCE, a parte qualche Harmony in gioventù.  Francy allora mi ha dato qualche dritta, e non solo sono diventata una fanatica lettrice del genere, ma ho anche incominciato a scrivere romance. Tu pensa dove ti possono condurre le amicizie sbagliate...

Siete note nel popolo del web come lettrici accanite di romanzi in lingua straniera. Quale pensate sia la differenza saliente tra le autrici italiane e le anglosassoni e perché preferite la lettura in lingua originale?
F.: Chi legge LMBR sa che io ho iniziato molti anni fa a leggere in inglese per ragioni di studio, di passione e  e perchè preferisco leggere un libro com'è stato scritto dall'autore  non dal traduttore ( per quanto bravo possa essere). Inoltre, il genere romance mi è sempre piaciuto ma l'offerta in Italia è davvero ridicola in confronto a quello che esce negli Stati Uniti e una volta scoperto che nelle librerie online potevo acquistare tutti i libri che volevo( sequels, prequels, un sacco di sottogeneri diversi,autrici mai lette prima) mi è sembrato davvero di essere nel paese di Bengodi! In più insegno inglese e la lettura in lingua è, lo sottolineo (da brava prof!), indispensabile a chi voglia arricchire il proprio bagaglio di vocaboli ed espressioni in inglese. 
 
Come ho detto prediligo lo stile anglosassone, che è più asciutto, meno involuto di quello italiano, ma non per questo povero.Anzi, a dire il vero la lingua  inglese è molto più ricca di vocaboli di quella italiana e quindi ha meno bisognoso di perifrasi per esprimere un concetto.Di conseguenza lo stile è più snello dal punto di vista della costruzione della frase. Soprattutto non mi piace il tipo di italiano usato nei romanzi storici , perchè per rendere 'lo spirito e l'atmosfera d'epoca' si utilizza spesso una prosa a tratti ampollosa, ricca di espressioni desuete che trovo personalmente insopportabili. Ma è un problema personale, che non ho invece con i romanzi storici in inglese, lingua che per quanto io comprenda bene, non è comunque la mia lingua madre. Anche se devo dire che ho letto spesso in passato (prima dell'avvento di internet) romance storici tradotti in italiano e l'ho sempre fatto senza problemi, anzi il più delle volte amando appassionatamente quei libri . Perciò sospetto si tratti proprio di una questione di stile.
 
 V. Leggo in inglese perchè è la lingua di Dickens e della Austen (e di molti altri), cioè la lingua del Romanzo. La prosa inglese è stilisticamente più asciutta di quella italiana e onestamente, quando scrivo le mie piccole cose, tendo ad inglesizzare la struttura del mio italiano. Se dovessi leggere solo i romance italiani, avrei ben poco da leggere, no? Quanti romanzi escono in un anno con firme italiane? Si contano su una mano, forse su due con le riedizioni. In quanto alle traduzioni delle autrici anglosassoni, le accetto a volte, ma siccome sono una snob e so leggere bene in inglese, dico di no, come l'uomo Del Monte (anche perchè spesso leggo autrici o romanzi che non vengono distribuiti in Italia). Spesso i romanzi tradotti sono o sembrano tagliuzzati, e poi ho sempre da ridire sulle scelte del traduttore, tanto da rovinarmi la lettura. Sono petulante abbastanza da andare a confrontare la traduzione con l'originale e trovarci  un sacco di difetti (non errori). Ma so benissimo che se dovessi tradurre io un romanzo farei molto peggio dei traduttori professionisti. O no?Botanic Gardens
 
Quale genere letterario al femminile pensate debba essere "importato" in Italia e perché? Cosa ne pensate della svolta fatta da Leggereeditore e della sua scelta di puntare sul suspense?
F.: Penso che in Italia venga importato un po' troppo romance storico, mentre ci sono libri deliziosi di genere contemporaneo che mi piacerebbe moltissimo che le nostre lettrici potessero  leggere, ma ai piani alti c'è chi pensa che alle italiane piacciano solo gli storici e i contemporanei che si pubblicano sono più che altro storie di vampiri! Certo se per decenni dai in pasto alle lettrici solo romance storico è chiaro che loro tenderanno a voler mangiare sempre la stessa minestra. Bisogna avere il coraggio di cambiare genere e far cambiare un po' i gusti alle lettrici, ma come scelta autonoma , non sulla scia di un successo già acquisito in altri campi come è successo per il paranormale/vampiresco . E poi, si sa, io amo il romantic suspense e anche quello mi piacerebbe vederlo pubblicato di più. Quello che prediligo però non è esattamente  come  quello dei romanzi attualmente pubblicati da Leggereditore, dove  suspense e  mystery sono spesso soverchianti rispetto al romance .La scelta, si capisce, è probabilmente dettata dall'esigenza di attirare un pubblico più vasto (e anche maschile) rispetto a quello delle sole lettrici romance. Ecco perchè spesso sollecito le lettrici che hanno studiato l'inglese  a buttarsi e a leggere in lingua originale... se fai tanto di iniziare poi, davanti a tanta varietà, non smetti più! 

V. Sono perfettamente d'accordo con Francy, su tutto. Quindi potrei anche non rispondere, ma:
 Se parliamo di romance, o di women's fiction, credo che qualche romanzo brillante -anche italiano- non guasterebbe. Non per forza chick lit, genere che ha rotto un po' gli zebedei (tranne il chick lit di Nora Mantelli, che è bravissima perchè sono io, scherzo, of course), ma un genere brillante, spiritoso, che non sia per forza un elenco di abiti griffati o una serie di scazzi pseudo-psico-drammatici. Il giallo rosa, poi, sarebbe il benvenuto. Credo che Leggereditore stia facendo un buon lavoro e mi auguro che, come aveva annunciato agli inizi, apra presto anche alle scrittrici italiane. Che, di sbocchi, ne hanno davvero pochi. Io credo che con la diffusione degli e-reader,  fondamentale perché NON si può leggere un romanzo sul computer, le possibilità di farsi conoscere per le autrici italiane aumenteranno in modo esponenziale.

Vivi, tu sei davvero bravissima, e posso garantirlo a tutti!

Una domanda piccante... mentre versiamo dell'altra cioccolata. O preferite del whiskey, visto che fuori ci sono zero gradi... Pensate che in Italia il pubblico sia pronto a romance a tema omosex?
F.: Decisamente cioccolata,my dear! Versa pure che sprigioniamo un bel po' di endorfine...si dice che sia per quello che la cioccolata ci piace così tanto, ci fa produrre endorfine, gli ormoni del benessere e del buonumore!Anche leggere romance mi fa spesso quest'effetto.
V. Interrompo Francy per dire che anche a me i romance fanno l'effetto della cioccolata! Sono meglio degli antidepressivi, addirittura, fanno sorridere e stare bene. Leggete romance, quando vi sentite giù|!Restituisco la parola a Francy che è moooolto più brava ed esperta di me.
 I romanzi omosex potrebbero avere una loro nicchia di lettori/lettrici ma dubito che avrebbero un  gran seguito qui da noi e quindi sospetto che ci sia da aspettare ancora molto perchè il romance M/M  (ma anchre F/F),come lo chiamano, possa sperare di sbarcare ufficialmente sui nostri scaffali. Non tanto per problemi di pregiudizio quanto di interesse. A me,ad esempio, il genere non attira per niente . Mi è capitato di leggere questo tipo di libri e sono arrivata alla conclusione che le storie gay non mi interessano perchè non riuscendo ad immedesimarmi in uno dei protagonisti non riesco, di conseguenza, ad appassionarmi alla storia al 100%. Ma non per tutte le lettrici è così, alcune non trovano per nulla difficile di immedesimarsi e si appassionano a questo tipo di storie dov'è la psicologia e la sessualità  maschile ad essere protagonista assoluta.Interessante notare come questi romanzi  siano scritti prevalentemente da autrici donne ed etero  per lettrici donne ( ed etero) e quindi non siano in generale concepiti per lettori gay, anche se le storie trattate lo sono. Ci sono anche romance scritti da omosessuali per omosessuali ma sono un altro genere ancora.
 
V.Che dire? Non mi interessano particolarmente i romance che raccontano un amore gay perché, come diceva Francy, mi immedesimo poco con i protagonisti. Il motivo per cui non vengono pubblicati  è solo legato al mercato, non alla nostra pruderie:  siamo molto meno mammolette noi italiani che quei puritani degli anglosassoni. Si potrebbe fare lo stesso discorso per  il genere erotika. Dove  le porcellate vengono molto prima dei sentimenti. Personalmente credo che gli erotika, da quel che ho letto qua e là, siano molto ripetitivi. E non sto a spiegarti quale sia la parte che ripetono. Ma sono certa che potrebbero trovarsi una importante nicchia di mercato tra il pubblico femminile, più dei romance gay.

Domanda di rito: Editoria italiana. Cosa ne pensate e a chi fareste una tirata d'orecchie.
F.: L'editoria italiana langue purtroppo. E sente la crisi come tutti i comparti dell'economia. In più in Italia si legge pochissimo. I libri pubblicati perchè hanno un valore letterario si scontano sulla punta delle dita.Tutto il resto si pubblica con uno sguardo ben fermo al marketing, ecco perchè gli scaffali delle nsotre librerie più o  meno virtuali sono invasi da libri 'usa e getta'.Perciò mi chiedo, perchè relegare il romance solo alle edicole? E' fiction d'intrattenimento come tutto il resto.  Moccia o la Casati Modignani , sostanzialmente scrivono romance, women's fiction o young adult ( nel caso di  Moccia),  eppure sono riusciti ad entrare in libreria a rimanerci e a sfornare best sellers. Perchè il genere fa vendere, è inutile.Allora è solo una questione di politiche editoriali e di snobismo. eccoperchè quello che sta facendo la Fanucci con la nuova Leggereditore mi sembra un'operazione interessante perchè hanno deciso di prendere in considerazione anche il genere romance per le loro prossime pubblicazioni e di proporsia un target di lettrici donne. E' una scelta che secondo me verrà premiata!E per questo sul blog dò volentieri spazio alle uscite di questa casa editrice, ne apprezzo il 'concept'.
La Mondadori ha recentemente  fatto 'l'immane sforzo' di aprire un blog per la sua collana 'I Romanzi' , su cui eventualmente colloquiare con le  ettrici. Non è molto ma è se non altro un segno di volontà di avvicinamento alle lettrici e disponibilità ad ascoltare le loro richieste.  Di più ha fatto Harlequin/Mondadori che sul sito 'eHarmony' non solo presenta i libri in uscita  ma dà anche la possibilità alle lettrici di acquistarli online con giorni d'anticipo rispetto alle edicole.
Secondo me il genere Romance ha ancora ampio spazio di manovra in Italia, proprio perchè è stato per tanto tempo relegato nell'angolino, e credo che la rete , a questo proposito, potrà avere un ruolo sostanziale nel promuoverlo efficacemente . Noi della MIA BIBLIOTECA ROMANTICA, nel nostro piccolo stiamo cercando di farlo, sia sul blog che sulla nostra pagina di Facebook. Insomma, alla faccia dei pessimisti, per me il futuro è rosa...basta crederci!
V. Il problema n.1 dell'editoria italiana sono i lettori che sono troppo pochi, perchè si legge poco e perchè nella nostra lingua si legge solo in Italia.  Pensate all'enorme mercato cui si rivolge l'editoria anglosassone: non solo Regno Unito, non solo America del Nord, ma anche Australia, New Zealand e tutto il mondo, visto che l'inglese si parla ovunque. 
Anche la Spagna e la Francia possono contare su un mercato molto più vasto del nostro, in termini numerici, almeno.
Da una parte, dunque, pochi lettori non fanno fiorire l'industria del libro, dall'altra l'industria del libro che, con le sue scelte spesso spocchiose o di basso livello -pensate a tutti gli instant book su questo o quel personaggio dei reality -, non fa fiorire i lettori. Io credo che in Italia non si favorisca la letteratura popolare, quella buona, quella di genere che ha fatto la fortuna dell'editoria anglosassone. Ci si attacca al successo internazionale e si succhia finché c'è sangue da succhiare, come i tuoi vampiri, Stefy, senza preparare il terreno ad autori italiani di genere che producano opere di buon livello che facciano vendere. E' il prodotto nazionale che deve creare il substrato dell'editoria, non quello internazionale. Gli editori devono guardare al domani, non solo al prossimo Natale. E a questo proposito, invece di comprare tanti libri dall'estero, perchè non cercano di piazzarne qualcuno all'estero? E qui ci si potrebbe scatenare sul perché non ci riescano.
 

 

Ragazze, è stato un autentico piacere. Adesso rivestiamoci e andiamo a fare un bel giro su Princes street, dove si respira già l'aria di Natale.... magari facciamo una puntatina da Jenners. E tu Vivi, molla tutti 'sti ammennicoli che non ti morde nessuno....

A presto!

F: Grazie Stefi di averci ospitato sul tuo blog e complimenti per aver pensato a questo tipo di interviste.Noi blogger siamo abituate ad intervistare gli altri, una volta tanto ci  fa piacere  parlare di noi! 
Come sempre, quoto Francy. E vada per lo shopping. Ma Stefy, è vero che gli scozzesi sotto il kilt...

mercoledì 17 novembre 2010

Serial reader: Carla Maria Russo e i suoi romanzi

Ho avuto il piacere incredibile di conoscere Carla Maria Russo in occasione del recente evento di Officina, Romantic Rome. Prima ancora di capire chi fosse, ho avuto la sensazione di trovarmi dinanzi una donna speciale. Mi spiego meglio: in alcune occasioni della vita, ho incontrato persone che, con un solo gesto, uno sguardo, riescono a dire tutto di sé, mostrandosi al mondo dome sono in tutta la loro bellezza. Nello stesso tempo, emanano un'energia pura, incredibilmente forte, che le circonda come un velo.
Carla Maria Russo è una di queste. Sebbene sia sottile e minuta, ha in lei una forza magnetica che impressiona, una carica umana che stupisce e che tocca il cuore senza bisogno di parole. I suoi scritti, il suo stile la rispecchiano in pieno. Forte, eppure mai sopra le righe, immediata e insieme delicata, arguta e malinconica.
Ma non sono qui per parlare della persona. Passiamo ai libri che ho letto: La sposa normanna e L'amante del Doge.
Quest'ultimo è un romanzo particolare: semplice, morbido come un buon brandy invecchiato, si gusta con piacere, pagina dopo pagina. L'amore di Caterina non è un sentimento scioccherello o passionale. E' "amore di testa", fatto di cultura ed equilibrio: la protagonista fa mostra di un coraggio non comune per la sua epoca - siamo nel XVIII secolo - ma, nello stesso tempo, l'autrice la descrive come una figura perfettamente calata nel contesto storico in cui vive e si muove. Non è una cortigiana, è una donna libera, che paga lo scotto per la sua libertà: la perdita dell'onore e della rispettabilità in una società quale quella veneziana, aristocratica e colta. Ma, nello stesso tempo, questo è il romanzo di una Venezia che declina senza rendersene conto, come una bella donna allo specchio che scruta il proprio viso ignorando deliberatamente le rughe. Sotto l'opulenza e i fasti, si avverte lo scricchiolio di una società che è impreparata ai cambiamenti che porterà il XIX.
Il finale mostra i due amanti finalmente riuniti in un'unione legale. Ma nulla potrà mai cancellare il legame fatto di rispetto e complicità che anni di distanza hanno forgiato.
Alla lettura di questo romanzo, è seguita quella de La sposa normanna.
L'ho amato. Non ci sono dubbi. Sarà il periodo storico, sarà l'atmosfera palermitana, sarà che mio padre mi ha trasmesso un amore viscerale per gli Altavilla (e Federico II in particolare... non è un caso che mio figlio porti questo nome), ma  questo romanzo mi ha colpito affascinandomi e coinvolgendomi fino a farmi piangere in alcuni punti. In un periodo in cui faccio fatica a trovare delle belle storie da leggere, questa è arrivata come una boccata d'aria pulita. Lo stile dell'autrice è ancora più raffinato e intenso. E' una scrittura semplice, non banale, in cui l'aggettivazione è scarna ma non banale, messa al servizio di una storia che è insieme dramma umano e una testimonianza di coraggio delle donne. Sì, perchè Costanza d'Altavilla vieni delineata nel suo aspetto privato, come una donna che non avrebbe mai voluto essere regina, eppure deve esserlo. Una donna di grande forza interiore che è costretta a un matrimonio con l'erede al trono tedesco, ritratto come un bruto volgare e rozzo. Eppure Costanza mantiene coraggio, dignità. Trova il modo di lottare all'interno contro quel marito che insieme la detesta e la desidera, contro una corte in cui non ha amici. Lotta contro una maledizione che grava su di lei, per tutto il romanzo. E ama, Costanza. Ama la vita in convento, ama la pace, la serenità, i suoi amici di Palermo; più di tutto, ama Federico, quel figlio avuto in tarda età che crescerà lontano da lei, la cui vita sarà segnata per sempre dall'assenza di una madre coraggiosa.
Quello delineato nella Sposa Normanna è un affresco storico lontano dall'epica o dal sensazionalismo: è la storia del quotidiano, delle piccole cose, della vita vera. Niente lenzuolate storiche o dissertazioni improbabili poste in bocca ai personaggi: dialoghi attenti, poche parole misurate che forniscono la pezza d'appoggio per inquadrare in poche righe una società e il suo tempo.
Che dire di più? Che Lola nascerà a diciott'anni - l'ultima fatica di questa bravissima autrice -  allunga ancor di più la mia lunghissima lista di libri da acquistare e leggere? Dio solo sa quando avrò il tempo... ma di certo lo farò!

martedì 16 novembre 2010

Auld Reekie #5 - 2

Chiedo perdono. Vi ho fatto attendere più del dovuto a causa di impegni familiari e personali. Ecco qui la seconda parte del quinto capitolo... e presto, lo giuro, avrete il sesto... 



«Samuel!»
Joanne non ebbe bisogno di gridare di nuovo: Samuel ed Ester erano nel corridoio davanti a lei ed entrarono di corsa. L’uomo spalancò gli occhi, sorpreso nel vedere Dyce a terra in una strana posa scomposta, con gli occhi rovesciati e la bocca aperta.
Joanne percorse la stanza a passi veloci, la mano poggiata sulle labbra con un gesto nervoso «Sa di noi!».
«Ne sei certa?». Samuel la raggiunse e le mise le mani sulle spalle bloccandola.
«Aveva paura. Appena ha intuito chi ero, si è spaventato a morte. Dopo averlo condizionato, on ho nemmeno dovuto scavare a fondo nella sua mente».
«Lo hai privato della coscienza», considerò Ester, chinandosi sull’uomo. Tastò con delicatezza la gola del medico e controllò gli occhi. «Si riprenderà tra un po’. Per allora, faremmo bene a trovare una storia convincente».
«Ha accettato di venire perché aveva già dei sospetti?» chiese Samuel, fissando con una smorfia carica di disprezzo il medico riverso a terra. Era patetico in maniera imbarazzante.
«Purtroppo, sì».
Samuel scosse la testa, il viso angelico segnato da una ruga di preoccupazione. «SI Fratelli della Luce sapevano che gli attacchi a Londra e York avrebbero messo in allarme le altre comunità. Hanno attivato gli osservatori in tutta la nazione, sperando in un passo falso, così come noi abbiamo tentato di anticipare le loro mosse.... E dannazione, ci hanno trovato!» esclamò con rabbia.
Si avvicinò alla finestra. Fuori, il cielo era coperto da nubi scure, gravide di pioggia.
Ancora pochi giorni e sarebbero stati braccati.
Samuel si voltò di scatto, avvicinandosi al medico. «C’è solo una cosa da fare: interverrò sulla memoria di Dyce, cancellerò via i sospetti e guadagneremo il tempo necessario per organizzare la nostra scomparsa».
Joanne lo guardò in tralice per un istante, poi annuì. «È meglio che ci pensi io: i suoi ricordi dovranno essere realistici. Dubito che tu sappia come si svolge una visita medica su una donna».
Samuel assentì con un sorriso abbozzato, poi si avvicinò, baciandola sulla fronte. «Sei stata eccezionale. In poche avrebbero avuto la freddezza di condizionare un uomo senza poi saltargli alla gola».
Joanne si strinse nelle spalle. « Non è stato difficile. È solo un umano, stolto e pieno di sé. ».
«Cancella tutto ciò che riguarda i suoi sospetti. Non deve ricordare nulla».
Joanne annuì senza parlare. Poi, rimasta sola, sollevò gli occhi verso il soffitto e scosse la testa con un sospiro pesante.
Era molto, molto peggio di quanto avesse immaginato.


George Dyce si trovò seduto al tavolino da toilette della camera da letto della signora Griffin. Davanti a lui, carta e un calamaio. Teneva in mano una penna.
Perché? Cosa doveva fare?
Sentì la testa confusa, come se dentro vi si fosse rifugiato un intero sciame d’api. Dietro di sé, Joanne Griffin stava terminando di rassettarsi. Le lanciò un sorriso imbarazzato attraverso lo specchio e tornò a concentrarsi sul foglio, guardando la penna.
Era disorientato.
La visita… sì. Ecco di cosa doveva scrivere!
La donna non presentava alcun problema: battito regolare, respirazione libera, il fisico sottile ma forte abbastanza da poter sopportare una gravidanza. Anche l’apparato riproduttore era sano, prima facie. Se non concepiva, il problema doveva essere nel suo ventre: forse il sangue non era abbastanza forte o forse era sterile ab origine. O ancora, era il marito a esserlo.
Le sue riflessioni furono interrotte da un tocco discreto.
«Avete terminato?». Ester Hates si affacciò dalla porta. Un ricciolo di capelli castani scivolò sul viso, accarezzandole le labbra.
«Sì».
La ragazza, quasi fluttuando, entrò nella stanza e si avvicinò alla cugina, prendendole la mano.
Era possibile che fossero…? No, si disse il medico. Scosse la testa, continuando a scrivere: in quella donna non vi era nulla che non andasse, nulla che potesse far pensare a lei come a un…
Ester si avvicinò al medico senza far rumore. Sorrise, timida, a occhi bassi; poi, alzò di colpo lo sguardo: profondo, intenso, tanto da causargli un capogiro. All’uomo mancò il fiato sembrò quasi di annegare in quegli occhi così simili a gemme di venturina
«Il signor Griffin la aspetta in sala da pranzo. Posso accompagnarla io mentre mia cugina termina di rivestirsi?» proseguì, in tono flautato.
Certo. Poteva accompagnarlo in capo al mondo se voleva.
Rimasta sola, Joanne si lasciò cadere su letto. Confondere i ricordi di quell’uomo era stato semplice: era intelligente ma non aveva una mente complessa. Sovrapporre idee e immagini per manipolarne la memoria era stato semplice.
Più doloroso era stato ricreare le sensazioni, i suoni, il calore di un corpo umano e vivo. Aveva dovuto ricordarli lei per prima. Farlo, però, le aveva causato un rimpianto amaro che le mordeva il petto.
Il contatto di mani calde sul corpo, in punti intimi, il tepore del respiro soffiato fuori dalle labbra, il suono del suo cuore, cupo, profondo e regolare, fino a che aveva funzionato… Ricordare la sensazione della vita che scorreva nelle vene era stato penoso.
Si sentì malinconica, vuota.
Sola.


Il sole era riuscito a sconfiggere l’assedio delle nuvole e adesso illuminava i mobili lucidi della sala da pranzo di Canongate; la finestra era chiusa e i rumori del traffico giungevano attutiti.
Un angolo della stanza era immerso nell’oscurità creata dalla tenda che schermava la finestra. Quasi celato da quell’ombra, Samuel sollevò lo sguardo su George Dyce seduto al lato opposto del tavolo, in piena luce.
«Dunque mia moglie non ha problemi, almeno all’apparenza».
«Già… Ritengo probabile che la vostra signora possa avere un ostacolo nelle profondità del  ventre, qualcosa che le impedisca persino di iniziare una gravidanza. Sarebbe utile una visita approfondita di una donna, una levatrice».
Il medico si mosse a disagio sulla sedia, poi chinò gli occhi sul bicchiere pieno di liquore che teneva tra le dita. Appena giunto nella stanza, Griffin gli aveva offerto un bicchiere di Porto che ora scintillava davanti a lui, producendo riflessi simili a rubini liquidi. Non c‘era nulla da dire, era un vino squisito. Allora, come mai non ne stava bevendo neanche una goccia?
Di nuovo, un sospetto incerto, nebuloso, si affacciò alla sua mente. Se aveva ragione, si trovava dinanzi a… qualcuno molto forte. Molto potente.
Dyce sollevò gli occhi. «Vostra moglie avrebbe bisogno di sole e di vita all’aria aperta per rafforzare un po’ il fisico» aggiunse, prendendo tra le dita lo stelo del bicchiere.
«L’ho trovata pallida».
«Joanne ha avuto sempre un colorito alabastrino. È una delle cose che apprezzo di più in lei». Sulle labbra di Samuel aleggiò un sorriso leggero che non arrivò agli occhi. Era rilassato, il braccio appoggiato al tavolo, la mano che sorreggeva il viso.
«Il Porto è di vostro gradimento?»
Il medico avvertì una strana sensazione nell’aria, simile a quella che avvertiva all’approssimarsi di una tempesta. Sorrise, impacciato, ma la risata suonò innaturale alle sue stesse orecchie.
«Sì, è ottimo. E voi, non bevete? ».
«Le notizie che mi avete appena dato non giustificano certo un brindisi, ma vi terrò compagnia per dovere di ospitalità».
E Griffin bevve. Un sorso, uno soltanto, accompagnato da un sorriso pigro.
«Se lo gradite, potrei inviarvene due bottiglie» disse poi in tono formale.
«Oh, vi prego… non disturbatevi», esclamò Dyce, in imbarazzo.
«Nessun disturbo. So quanto possano essere importanti certi piaceri della vita e nulla è più piacevole di un bicchiere bevuto dinanzi al fuoco in perfetta solitudine. Ne convenite, dottore?», mormorò con voce roca.
Samuel sollevò lo sguardo: azzurro, duro come lapislazzuli. Era antico e freddo, e nello stesso tempo, quasi annoiato e vigile.
George Dyce sentì un brivido lungo la schiena. «Credo che sia l’ora di congedarmi» mormorò, cercando nel panciotto l’orologio. L’ora che lesse lo fece sussultare: l’una. Era rimasto per due ore in quella casa! Com’era possibile? Non si fermava mai tanto a lungo per un controllo.
«Qualcosa non va?» chiese Samuel Griffin, accompagnandolo alla porta.
Il medico tornò a guardare l’orologio, perplesso. «Non… non pensavo di aver fatto così tardi» rispose confuso. Non poteva aver perso tanto tempo, era assurdo, era…
Dyce alzò gli occhi verso il padrone di casa. Aprì la bocca per parlare ma non riuscì a trovare delle parole adatte a spiegare ciò che sentiva. Confusione? No, era ben altro. Una sensazione di freddo si impossessò di lui, repentina, come una malattia.
Qualcosa, qualcuno… cosa era successo, cosa?
«Credo di stare poco bene», biascicò, con gli occhi sgranati.
Griffin non replicò. Rimase fermo sulla porta a guardarlo, celato nella penombra, prima di chiudere la porta alle sue spalle.
Per un istante, Dyce rimase fermo a fissare l’uscio ormai chiuso del numero 15. Era senza parole, senza fiato. Il battito del cuore rimbalzò tra cervello e orecchie, assordandolo.
Cosa era accaduto davvero?