Procediamo con ordine: il romanzo è ambientato a Edimburgo (e dove altro? già capite perché amo tanto Rankin...) e ruota attorno ad alcune figure descritte in maniera impeccabile: Mike, ricco e annoiato genio dei computer, Allan, bancario dalla vita desolata e vuota, il professor Gissing, un docente universitario dalle idee piuttosto anarchiche. Tre appassionati d'arte che, per un motivo o un altro, son insoddisfatti della propria esistenza.
Questi sono i personaggi. L'ambiente in cui lo scrittore scozzese li ha inseriti è davvero inusuale, almeno per i suoi plot: il mondo ovattato ed esclusivo dell'arte scozzese. In verità, sono rimasta piuttosto spiazzata da questa scelta, ma durante la lettura, il mio sconcerto è diminuito fino a sparire del tutto E ho trovato nelle ultime pagine il graffio dell'autore di razza, del giallista che sa sorprenderti e strapparti un sorriso incredulo, facendoti beffe della tua supponenza.
Rankin è un autore che scava nell'anima delle sue storie, che usa vicende tormentate per raccontarci il mondo che i suoi personaggi hanno dentro. In un certo senso, anche la luce di questo romanzo appare differente: mentre nelle storie di Rebus, la luce è grigia, livida, in questo vi è un tepore soffuso, una luminosità chiara, quasi primaverile che disorienta e avvolge. Un po' come la luce dei quadri che i nostri amici decidono di rapinare. Eppure, via via che la vicenda si dipana sotto gli occhi del lettore, quella luce chiara perde calore sino a divenire fredda, persino spettrale.
E' questo uno dei motivi per cui amo quest'Autore: per l'uso che fa dell'ambiente e della luce nel caratterizzare le vicende che narra. In questo romanzo non ho avvertito il freddo della pioggia che batte sul selciato di pietra, nè la tristezza del cielo grigio che incombe spesso sui personaggi di cui Rankin narra, ma il tepore dei wine bar frequentati da Mike ed Allan, o l'odore di muffa e stantio del circolo di Chib. Ogni luogo era la conrice perfetta per la situazione che veniva descritta.
Nessuna incongruenza, nessun cedimento, nessuna perdita di ritmo. Il romanzo è un bel giallo, che mi ha riportato alle vecchie pellicole degli anni Settanta, quelle con Steve Mc Queen, o al più recente Soliti sospetti. Non vi è spargimento di sangue in eccesso: Rankin non ama lo splatter e si vede. Ma la crudeltà, la brutalità pura si sente, trapela dall'atteggiamento arrogante prima e spaventato poi che tiene Chib, o dalla pura, lineare logica di vendetta che muove le azioni di Hate. E nello stesso tempo, c'è il sottile squallore che permea la vita di Allan, un monsieur Travet che cura i soldi altrui, la noia blasee di Mike, l'atteggiamento anarchico e anacronistica di Gissing... o ancora, la stupida esaltazione di Westie, il falsario che entra in un gioco più grande di lui.
La grande capacità di Rankin è quella di creare figure coerenti e reali, che agiscono come persone normali e , come persone normali, reagiscono... anche in maniera sorprendente. Il ritmo narrativo è alto, ma tocca punte di autentico parossismo nella scena della rapina (poiché sì, c'è una rapina... non ve lo avevo detto :-P ) . A quel punto la prosa diventa sincopata, le frasi spezzate e rapidissime, quasi si stesse girando tutto in piano sequenza con la telecamera a spalla seguendo i personaggi. Questo è, almeno a mio avviso, uno dei pezzi più forti e d'impatto che Rankin abbia scritto. La scrittura è tagliente, efficace e pulita, affilata come un rasoio: pochi aggettivi, pochissimi avverbi, una punteggiatura serrata rendono la lettura un'esperienza. Il ritmo narrativo è tale da assorbirti completamente, trascinandoti nella storia, fino all'ultima pagina e con la voglia di sapere quale sarà davvero il finale...
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RispondiEliminaCiao...
RispondiEliminaScusa per i due messaggi nulli.
Ti ho invitata a partecipare a un meme.
Ecco il link:
http://lasciamileggere.blogspot.com/2011/01/meme.html