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giovedì 10 marzo 2011

Auld Reekie #8

Capitolo 8


«Buongiorno, Margareth.»
La voce quieta di Joanne risuonò nella sala da pranzo piena di una luce mattutina pigra. Entrò e chiuse la porta alle spalle della domestica, lanciando uno sguardo penetrante ai suoi fratelli.
«Finalmente sei arrivata! Quella dannata vecchia non la smetteva di ronzare qui attorno». Ester respinse il piatto di pancetta che si trovava dinanzi. «Cielo, questa roba mi nausea! Ma è proprio necessario fingere di mangiare?»
Joanne le rispose con pazienza, prendendo un piatto con delle uova dal servo muto. «Non piace a nessuno di noi, Ester, ma non abbiamo alternative. La Fratellanza è alle nostre calcagna e non possiamo permettere che la servitù inizi a sospettare qualcosa.»
Mise il piatto dinanzi a sé e rimestò il cibo con le posate; poi sollevò lo sguardo su Samuel, che leggeva il giornale.
«Che cosa pensi di fare?» domandò, a voce bassa.
Nella stanza cadde il silenzio.
Samuel le rispose senza guardarla, continuando a leggere lo Scotsman. Dinanzi a lui, un piatto di salsicce giaceva intonso, assieme ad una tazza di thè. «Sto portando a termine la cessione dell’impresa con Oliver. Le ragazze, Will e John partiranno entro questa settimana; io e te, la prossima. Annunceremo la nostra intenzione di fare un viaggio in Europa, per climi più caldi. Oliver rimarrà qui, assieme a Zach.» La scrutò, gli occhi piantati nei suoi, fissandola senza battere ciglio. «Spero per te non sia un problema.»
Joanne abbassò lo sguardo sul piatto. Per un momento ebbe voglia di urlare che sì, era un dannato problema. Ma non poteva: Samuel era il suo capo, prima ancora di essere suo fratello di sangue. Lei, Ester, Lizzie, Zach e Samuel avevano avuto lo stesso padre: lo stesso vampiro li aveva trasformati. Samuel era il più anziano tra tutti loro e aveva preso il comando quando Robert, il loro Padre, aveva cessato di esistere molti decenni prima.
Will, John, Oliver, invece, erano stati creati da Samuel. A differenza di Robert, lui aveva offerto la possibilità di scegliere: aveva dato loro la libertà di accettare o meno la via del sangue, cosa che Joanne reputava sacrosanta.
Quanto a lei, aveva un compito specifico: era la Guardiana. Le era stata affidata la tutela dei suoi fratelli;sarebbe stata lei a sostituire Samuel, nel caso in cui fosse perito.
Lui le lanciò un’occhiata obliqua; poi tornò a immergersi nella lettura. «Zach verrà stasera: sta tenendo d’occhio la casa di Dyce. Will gli darà il cambio stanotte.»
«Ha trovato qualcosa?», chiese Joanne, allontanando il piatto con un gesto secco: Ester aveva ragione, l’odore del cibo era nauseante.
«Poco: lettere di Corbridge e di Faber, nulla che già non sapessimo. Purtroppo, non vi era nessun elenco riguardo ad altri contatti qui in città.» Samuel richiuse il giornale con un gesto secco, persino nervoso. «Stanno progettando un’offensiva contro di noi. È questione di tempo.»
«Quanto pensi che sappiano?», domandò Lizzie, inquieta.
«Molto, temo. Tellman, il responsabile della Fratellanza di Londra ha una missiva di Oliver e una mia lettera indirizzata a Sirius: entrambe sono dirette a quest’indirizzo: Zach ha letto gli appunti di Dyce.»
Joanne sgranò gli occhi. «Ma… sono lettere di sessantanni fa!»
Samuel aprì le braccia, stizzito. «Già! Le hanno conservate, accidenti a loro! Appena realizzeranno il collegamento tra gli autori delle missive e noi, ci avranno scoperti. L’unica cosa da fare è anticipare la partenza.»
Joanne picchettò con le dita sul tavolo, poi annuì con energia. «Dobbiamo agire tenendo un comportamento il più possibile usuale. Per fortuna, è nuvoloso e non avremo problemi con il sole. Preleveremo delle somme di denaro per ogni esigenza. Limiteremo le uscite notturne; saremo sempre in coppia o più, mai da soli. Resteremo solo io e te; Zach rimarrà in incognito e Oliver dovrebbe essere al riparo dai sospetti, visto che è ricomparso da meno di tre anni e che non vive con noi.»
«Molto bene. Comunica queste disposizioni agli altri e…».
Samuel spalancò gli occhi, lanciando uno sguardo alla porta. Un istante dopo, qualcuno bussò e di colpo, tutti finsero di mangiare. Persino Ester arricciò il naso e accostò la tazza di the alle labbra.
«Il vostro segretario, padrone», annunciò la governante.
Will entrò, chiudendo la porta alle spalle. Il suo sorriso aveva un che di furbo e di malizioso, quella mattina. «Buongiorno signori. Sappiate che da qui a tre minuti diluvierà, quindi è il momento adatto per uscire. Sarà nuvoloso per tutto il giorno.»
«Volete una tazza di caffè, signor Munro?». Joanne aveva parlato con voce rilassata, ma con gli occhi fissi alla porta. Quell’impicciona della governante stava origliando di nuovo.
Will si voltò a fissare la porta chiusa e ridacchiò. «Sì, grazie, signora Griffin. Sapete, stanotte abbiamo fatto tardi con il signor Hates Hates.»
Passi furtivi, umani, si allontanarono lungo il corridoio. Piatti e bicchieri tornarono sul tavolo.
Ester rise: John era rientrato alle cinque del mattino, con addosso l’odore di una femmina umana. Lizzie si limitò a scuotere il capo, contrariata. «Non dovreste passare la notte in giro da soli, con tutto quello che sta succedendo», considerò la ragazza a bassa voce, tenendo gli occhi fissi sulla porta. «Potrebbero attaccarvi.»
Will prese una tazza, la riempì di caffè e si sedette a tavola. Il suo buonumore non era stato scalfito dalla tensione che si sentiva nella stanza. Si strinse nelle spalle. «I Fratelli della luce? Che possano farsi fottere all’inferno!».
Samuel alzò gli occhi. Erano glaciali.«Ci sono delle signore in questa stanza, Will. Non gradisco che tu ti esprima in questo modo.» 
Nella stanza calò un silenzio imbarazzato. Samuel si alzò in piedi e li fissò, uno a uno. «Non stiamo scherzando. Lo ripeto: la nostra salvezza dipende da quanto riusciremo a essere credibili. Stiamo rischiando tutto ciò che abbiamo, il nostro mondo può andare in pezzi da un momento all’altro e noi con lui. Sei Fratelli della Luce ci scoprono, non avremo possibilità di salvarci. Avete capito? Nessuno scampo. Moriremo tutti.»

 
Il nostro mondo è in pericolo, pensò Samuel con gli occhi fissi sul selciato sporco di fango. Tutto ciò che ho costruito, i miei figli, i miei fratelli… potrei perdere ogni cosa.
Per secoli, lui e i suoi simili si erano mescolati agli umani, vivendo con loro, prendendone le abitudini, generazione in generazione. Questo era potuto accadere perché molte delle leggende sulla loro natura erano false e gli uomini ignoravano quale fosse la loro vera essenza.
Erano corpi morti. Non respiravano: l’aria non era più necessaria, simulavano solo per mimetizzarsi meglio. Il loro fisico non aveva più le caratteristiche umane: non sentivano più fatica o dolore. Non avevano più un cuore che batteva. Non potevano neanche essere uccisi da un paletto, né urlavano dinanzi a un crocifisso o all’acqua santa.
Non potevano stare alla luce del sole, era vero, ma questo non significava che non potessero uscire di giorno. L’importante era che i raggi del sole non li colpissero direttamente, altrimenti la loro pelle si sarebbe ustionata, accartocciandosi come un mucchio di foglie secche. Il fuoco li indeboliva ma non li uccideva.
C’era solo un modo per eliminarli, e su questo il mito aveva ragione: tagliare loro la testa. Purtroppo, i Fratelli della Luce lo conoscevano bene.
Avevano bisogno di sangue umano per nutrirsi. Tuttavia, disciplina e rigore avevano dato i loro frutti e adesso il numero delle loro vittime era divenuto molto basso.
Quasi, si corresse poi, con un sorriso soddisfatto. Il ricordo della notte precedente riempì la sua bocca di un sapore dolce e caldo. Si leccò le labbra e tornò a concentrarsi sul carteggio che aveva davanti: un mucchio di ricevute che dovevano essere controllate prima di liquidare la sua impresa. Gli piaceva quel lavoro: aveva posseduto attività commerciali sin dal secolo precedente e aveva scoperto di possedere talento per gli affari. In questo lo aiutava Oliver, che si occupava della gestione degli affari legali: era un avvocato molto preparato.
E non solo: era una creatura di una freddezza e di una determinazione fuori dal comune.
Mentre Will aveva mantenuto alcuni brandelli di umanità, Oliver invece, li aveva sradicati con metodica precisione. In un tempo brevissimo, aveva ottenuto quel distacco dall’umanità che gli esseri come loro ottenevano con anni di buio, di massacri e assassinii.
Era lo scotto da pagare per la loro condizione. E tuttavia, da prezzo, si trasformava in vantaggio: niente pene, niente rimpianti, niente sofferenza. Il disprezzo di tutto ciò che era umano diventava liberatorio, aiutando a vedere la vita per ciò che è: un tempo più o meno breve, affannato,pieno di illusioni in cui non esisteva uno scopo, né sicurezze se non quella della morte.
Sapeva guardare oltre la condizione umana. Sentiva il bisogno… la fame di vita e non si tirava indietro dinanzi a niente per proteggere ciò che aveva di più prezioso: l’immortalità.
Molti esseri umani non si rendevano nemmeno conto di essere al mondo: consideravano la propria vita senza fine, mentre il tempo fluiva addosso loro, senza accorgersi di invecchiare fino a morire. Non sapevano che sarebbe bastato uno schiocco di dita del destino per spezzare quell’illusione.
Samuel, invece, lo sapeva: per primo era stato vittima di quello schioccar di dita; a sua volta, il destino si era servito di lui per porre fine a delle esistenze inutili.
Senza rimorso alcuno.


Nascosto nell’ombra di un portone, Zach osservò l’entrata del numero 17 di Albany street. Sopra di lui, un cielo grigio, basso, che sembrava dovesse dissolversi in una tempesta da lì a pochi istanti.
George Dyce aveva avuto visite: tre gentiluomini. Senza dubbio, qualcosa di strano si stava preparando: era rimasto sveglio tutta la notte, inquieto, a passeggiare nel suo studio. Zach lo aveva spiato, nascosto nel buio della sala d’ingresso, ed era scivolato via poco prima dell’alba, quando la sguattera di cucina si era alzata per accendere il fuoco. Sorvegliava quella residenza da giorni, la conosceva bene e ormai entrava ed usciva a suo piacimento.
Zach Shaw sapeva forzare le serrature, sbloccare fermi e chiavistelli; era silenzioso e leggero, un soffio di vento. Lui era la spia nel loro gruppo, ombra tra le ombre. Era colui che non esisteva.
Iniziò a piovere. Zach sentì delle gocce bagnargli il collo sotto la falda del cappello. In pochi istanti, la pioggia aumentò d’intensità, e lui capì che quello era il momento adatto per avvicinarsi alla casa per sbirciare all’interno.
Mescolandosi ai passanti che correvano per trovare riparo, si avvicinò all’abitazione di Dyce e si nascose dietro un anfratto dinanzi all’ingresso. Da lì, attraverso il velo spesso della pioggia battente, riuscì a vedere i tre uomini che parlavano con il medico. In quel momento qualcun tirò via le tende dalla finestra, forse per ottenere più luce e Zach si accorse che non erano soli: altri uomini erano nella stanza assieme a loro.
Chi accidenti erano quei due?
Con una mano sul cappello, Zach allungò il collo. Tutti gli uomini erano chini su un tavolo, coperto di carte e mappe della città. Uno di loro gesticolava, gli altri annuivano. Dyce, un po’ più distante, seguiva con lo sguardo la discussione. Aveva l’aria angosciata e scuoteva il capo.
D’improvviso, uno di loro alzò la testa di scatto e si voltò verso il padrone di casa che annuì, con energia. L’altro rise e un secondo uomo si alzò per bere un bicchiere di vino, dopo aver indicato dei punti su un foglio.
Per la prima volta dopo più di un secolo, Zach sentì un brivido. Non era eccitazione o di desiderio. Con fatica, quasi con stupore si rese conto che era un’emozione stridente, improvvisa, che lo sconvolse fino a fargli spalancare gli occhi. Perché aveva avuto paura.
Aveva riconosciuto quegli uomini, ne aveva visto i ritratti molte volte.
Michael Burgess e Spencer Corbridge.
I capi della Fratellanza della Luce.

martedì 18 gennaio 2011

Behind the scenes: Barbara, Selene e Alessandra del forum Romanticamente fantasy.

Ragazzi che periodo!! Tra scuola, famiglia e casa,libri, ristrutturazione, articoli da scrivere (a proposito: presto avrete notizie succulente...) e blog non ho avuto il tempo per tirare il fiato: sono DAVVERO esausta. Però vi ho pensato, giuro!
E allora rientriamo in carreggiata alla grande con una bella intervista corposa. E' con vero piacere che ho ospitato qui nelle belle stanze georgiane di Moray Place tre delle admin di Romanticamente fantasy, ossia Barbara, Alessandra e Selene. Ed è stata un'intervista tutta da ridere. Devo dire che le fanciulle (sopratutto Barbara) si sono lasciate andare... e che il fascino sottile di Oliver e quello mozzafiato di Samuel hanno colpito (e affondato). E se qualcuna delle fanciulle si è trovata alleggerita di una pinta o poco più di sangue... beh, sappiate che ci sono stati atti di provocazione belli e buoni!
La disciplina e il rigore sono virtù seguite e praticate ma non puoi sbattere la carotide in faccia a un vampiro e pretendere che lui faccia l'indifferente!
Ma leggete cosa è successo ieri sera...



Ragazze, benvenute a Moray Place. Qui, tra zanne e sangue, dovreste trovarvi a vostro agio... cosa posso offrirvi per scaldarvi un po'? Whiskey, un hot Toddy bollente o una tazza di the? o un bel bicchiere di latte delle fate?

Ciao Stefy grazie per averci accolto qui tra nebbie e vampiri.... ti avvisiamo siamo un po' matte… a proposito non avresti in frigo qualche bottiglia di True Blood zero negativo???

No, mi spiace. * mia faccia molllto perplessa*  Qui si beve solo sangue alla spina, prelevato direttamente dalle arterie. Allora, ditemi: chi ha avuto l'idea del forum? E' un luogo virtuale molto seguito ed amato ed avete centinaia di visitatrici. Come gestite l'afflusso di pubblico?

Dunque... in principio l'idea era quella di una pagina su Facebook che raccogliesse e tenesse aggiornati tutti gli amanti del genere Urban Fantasy e paranormal. 
Lavorandoci sopra abbiamo capito che per la gestione più ordinata era più adatto aprire un forum, dove gli utenti avessero la possibilità oltre che di essere informati sulle nuove uscite, di poter lasciare le loro opinioni. L'idea quindi è stata di comune accordo di tutto lo staff. Considerando che il forum è nato solo 8 mesi fa ci riteniamo molto soddisfatte dato che attualmente le visite totali sono quasi 96.000 (O_O). I nostri iscritti sono oltre 1000, alcuni sono assidui frequentatori e partecipano assiduamente alla vita del forum, molti invece sono visitatori che passano sul forum per tenersi aggiornati sulle novità in uscita e per leggere i commenti ai libri.


Nel forum siete davvero in tante e purtroppo non ho potuto invitare tutte.
Barbara, lascia stare Oliver per favore se no poi ti morde...
 Allora, dicevo. Sì! volete parlarci delle vostre colleghe?

Selene: E' praticamente impossibile tenere le mani di Barbara lontane dalla tartaruga di Oliver.... è una causa persa (se nel forum vedete spesso la grafica con uomini ben prestanti, sappiate che li ha commissionati Barbara…)
 
Inutile dire che il sorriso che ha Oliver sulla faccia in questo istante mette i brividi a tutte noi, me compresa... tranne che a Barbara che continua a ridacchiare. Lo so, finirà male... e se non sarà per colpa di Oliver, sarà Emily a cavare gli occhi a Barbi: la ragazza è un filino gelosa del suo compagno.


Selene: Tornando alle cose serie.... Oltre a noi tre che siamo le admin principali del forum, ovvero quelle che si occupano della gestione del forum, di reperire le novità sulle uscite e di inventarsi sempre qualche iniziativa nuova abbiamo le admin "onorarie" che anche se non sono spesso presenti hanno contribuito alla creazione del forum con idee e consigli, ci sono le mod globali che cercano di tenere a bada tutti gli utenti impulsivi e indisciplinati e con cui ci consultiamo spesso, ci sono le grafiche che lavorano per dare sempre una bella immagine al forum (e soprattutto sopportano le nostre richieste XD). Vantiamo anche un mod globale uomo! Lui si occupa in particolare della sezione film e telefilm fantasy e del genere letterario fantasy classico. In pratica siamo una famiglia allargata.



Tutte voi avete dei nick molto evocativi: da cosa nascono i vostri nomi di battaglia?

Selene: il mio nick è Buffy_Victoria e la spiegazione è molto semplice, sono i nomi delle mie eroine preferite, Buffy (the Vampire Slayer) e Victoria Gardella (la cacciatrice protagonista della saga The Gardella Vampire Chronicles)

Barbara: il mio nick name è Lady Kira e la spiegazione è molto semplice. La mia gatta si chiama Kira e io mi sono messa il suo nome, in realtà però sul forum mi chiamano lady (k) ira dato che sono la testa calda del gruppo …

Alessandra: il mio nick è Nuvolina, è nato da una idea di mio marito. Lui è solito chiamarmi in quel modo perchè dice, che quando mi arrabbio assomiglio ad una emoticons di una nuvola agitata e visto che mi serviva un nome che fosse particolare e non di moda, ho scelto questo, che mi si è attaccato addosso e adesso è diventato praticamente il mio secondo nome.

Quali sono i vostri vampiri preferiti, e... BARBARA, SMETTILA DI FARE L'OCCHIOLINO A OLIVER!!! 
*Ale e Selly gelose lanciano una sguardo di fuoco a Baby* Smettila Baby!!! Comportati bene, non sei a casa tua!

Selene: Domanda difficile... Buffy è sempre stato il mio telefilm preferito e adoravo Angel e Spike, poi ho letto Twilight quando ancora nessuna sapeva cosa fosse e mi sono innamorata di Edward Cullen... poi è uscito The Vampire Diaries (il telefilm) e mi sono innamorata di Damon... poi ho letto la saga della confraternita del pugnale nero e ho amato Zsadist e... devo continuare? XD
Meno male che non hai menzionato i vampiri presenti... grazie, altrimenti la situazione sarebbe divenuta ingestibile! E voi, ragazze?



Alessandra: Io mi sono avvicinata a questo genere con l'uscita della serie Della Confraternita del Pugnale nero della Ward. Quindi direi senza dubbio che Loro sono i miei vampiri preferiti!!! 

Barbara: Io nasco come lettrice di Fantasy, mi sono avvicinata all’urban fantasy grazie alla Hamilton; inutile dire che adoro i suoi vampiri Jean Claude ed Asher sono veramente fantastici, la lista continuerebbe all’infinito perché a parte Edward Cullen che considero troppo sdolcinato tutti i vampiri mi piacciono. 


Che rapporti avete con le case editrici italiane? che ne pensate più in generale dell'editoria italiana dalla vostra posizione di "lettrici voraci"
Oh, no, tu pure Alessandra, con Samuel... ti prego, Selene, aiutami con queste due!!


Selene: Perdona il comportamento delle mie colleghe, hanno gli ormoni impazziti! I vampiri fanno questo effetto è risaputo!!

Abbiamo contattato le principali case editrici che pubblicano Urban Fantasy e Paranormal Romance, in modo da essere inseriti nelle loro mailing List per essere tempestivamente aggiornati sulle nuove uscite. Con la Rizzoli, ad esempio, abbiamo collaborato all’evento dell'anteprima di Torment (di Lauren Kate) insieme ad altri blog/siti.
Siamo molto contente che le case editrici italiane si siano avvicinate a questo genere e che dopo la commercializzazione di Twiligth, abbiano dato così ampio spazio alla pubblicazione di nuove saghe e nuove autrici. L’unico problema è che tra una uscita e l’altra di libri della stessa saga passano troppi mesi, in alcuni casi addirittura un anno…ed è un vero peccato perchè si rischia di far allontanare i lettori dalla saga stessa. Per questo ci auguriamo che i tempi di attesa diminuiscano…


Ok, credo che sia il momento di salutarci... è stato un piacere e la nostra chiacchierata piacevolissima anche se mi sono sentita un po'accerchiata... e tu, Barbara! Esci fuori dall'armadio! Subito! Non è possibile restare qui!

Selene: Grazie Stefy per averci invitato a Moray Place! E’ stato un piacere essere qui con te!

*mi allontano e cerco di infilarmi nell’armadio dove si è nascosta Barbara...*
Alessandra: *Guarda in direzione dell'armadio scuotendo la testa* Ragazze dobbiamo andare... fuori di lì!! 
* e aprendo l'anta dell'armadio le trascina fuori entrambe e si incammina verso l'uscita*.




Inutile dire che Oliver, Samuel Duncan e Will hanno seguito le ragazze con lo sguardo fino a Heriot Row. Sui loro visi, sorrisi poco rassicuranti...

mercoledì 8 dicembre 2010

Serial Reader: le cronache di Saint Germain

Ok, per adesso sono davvero di corsa... pant pant! Questo lunghissimo post è uscito già su Diario di Pensieri persi, per chi se lo è perso... eccolo qui!


Rispetto a più celebri colleghe, Chelsea Quinn Yarbro non gode di una molta fama presso il pubblico dei lettori. È sconosciuta ai più, ai fans dei vampiri scoparecci e sessualmente disinibiti che in questo momento dominano il mercato.
Poco male. Sarà per me una gioia parlarvi di lei e del suo personaggio, il conte di Saint Germain. Vampiro millenario di origine mediorientale, uomo affascinante, alchimista, musicista e nobile raffinato, entra nelle grazie dei lettori senza alzare la voce ma con un sorriso magnetico. E lo fa con una grazia, un fascino discreto che colpisce solo a libro chiuso, lasciandoti la voglia di leggere dell’altro e dell’altro ancora.
Il merito di ciò è dato dallo stile della Yarbro: una scrittura ricca, curata nei dettagli, ma non pesante. Usa termini ricercati che non appesantiscono la narrazione e le conferiscono potenza ed eleganza. Il ritmo dei suoi numerosissimi romanzi - ne ha scritti più di venti ma in Italia ne sono stati pubblicati poco più di cinque - è tranquillo, più una pavane che un walzer, ma ciò non significa che sia lento: un brandy invecchiato da sorseggiare con calma, assaporando ogni scena, ogni personaggio. Personalmente, adoro il suo modo di caratterizzare ambienti e personaggi: non si possono dimenticare le descrizioni vivide del Circo Massimo o l’opulenza della Francia pre-rivoluzionaria, o ancora le atmosfere angoscianti della Firenze di Savonarola.
Infatti, la caratteristica saliente dei romanzi di C. Q. Yarbro è l’ambientazione storica. Ogni aspetto è curato nei minimi dettagli, con standard qualitativi impressionanti non solo per un paranormal ma anche per un romanzo storico. L’Autrice ottiene questo risultato mescolando personaggi di fantasia a figure storiche, ritratte nella loro intimità. Così, assistiamo al suicidio di Petronio e della sua famiglia in Giochi di sangue o conosciamo il percorso tormentato di mortificazione di Botticelli, divenuto seguace di Savonarola in Il Palazzo.
 Attraverso la scrittura fluida ed elegante, l’Autrice crea una ricostruzione storica accuratissima con personaggi che sono perfettamente coerenti con la società del tempo. Nessuna virago, nessuna eroina sopra le righe, nessun personaggio maschile eccessivamente moderno. Coerenza e precisione: è questa l’autentica forza della Yarbro. Raffigurare un vampiro nel corso della sua esistenza, attraverso le epoche in cui vive. Basti pensare come François Ragoczy di Saint Germain è descritto: occhi scuri magnetici, mani affusolate ed eleganti, magnetico e autorevole. Ma la cosa che più mi ha colpito è stata il modo in cui viene descritto il suo fisico. Mentre in Giochi di sangue, che si svolge nel I sec. D. C. egli è “un uomo più alto del romano medio, ma non era questo a rivelarlo immediatamente come straniero. Il volto aristocratico era incorniciato da riccioli scuri e sciolti. La bocca mostrava un mezzo sorriso mesto, e gli occhi affascinanti brillavano”, in Un destino di sfida ambientato nel 1917, egli è “… imperioso, ma senza alterigia e, anche se era più basso della media, mostrava una presenza che compensava la mancanza di centimetri in altezza”. Ma non solo questo: Saint Germain è un personaggio dolente e sensibile che guarda alle miserie umane con compassione. Odia l’ingiustizia: tra i suoi amici e servitori vi sono umani maltrattati e ridotti in fin di vita, come Roger, il suo fedele servitore per più di duemila anni, o ancora gli schiavi che lo circondano nell’antica Roma, che lui tratta come suoi pari. Attira gli esseri umani migliori con la stima e spaventa, inquieta i meschini con la sua autorevolezza, la capacità di vedere dietro gli sguardi, i segreti, le meschinità. Ha uno spessore psicologico che molti “zannuti” dell’attuale panorama letterario non rasentano nemmeno.
Il lettore viene portato per mano nella vicenda, sente l’odore della cera fusa nei candelabri dell’Hotel Transilvania, avverte l’afrore delle belve nel Colosseo, rabbrividisce per il freddo delle Alpi austriache. E, nello stesso tempo, ama le donne, figure femminili di incredibile dolcezza e coraggio: il lettore le adora con lo stesso trasporto di Ragoczy di Saint Germain che non è un tombeur de femme, ma un essere che vive di solitudine. Egli sa bene come la sua condizione di vampiro sia una maledizione: se ama fisicamente una donna più volte, o se beve più volte il sangue delle sue compagne, esse muteranno la loro natura alla morte. Ed è ciò che accade a Olivia, moglie violentata e brutalizzata di Giusto (Giochi di sangue) e a Demetrice, vittima della follia purificatrice di Savonarola (Il Palazzo). Queste due figure hanno numerosi punti in comune: si rifiutano di cedere a un destino che le ha rese schiave di uomini gretti; resistono con tenacia lottando per i propri familiari come Olivia o attraverso gli studi, come nel caso di Demetrice. Saint Germain le sostiene e le cambia per consentir loro di sfuggire alla morte, quella fisica.
Franciscus o François Ragoczy di Saint Germain affascina ma non seduce con mirabolanti prodezze erotiche: è sensuale ma non sessuale. La Yarbro delinea quest’uomo come una sorta di adoratore della femminilità, che porta all’estasi le amanti non con rapporti sessuali completi, una vera e propria venerazione. Le sue compagne sono donne che spesso subiscono la violenza di altri uomini, ritenuti normali ma che tali non sono: per queste creature insultate dalla vita, lui ha gesti di incredibili intensità. Dona loro stima, sicurezza e appoggio. Il sesso “umano” è spesso descritto come deviato e violento, privo di tenerezza.
Le donne della Yarbro spesso subiscono abusi sessuali, violenze fisiche e morali che mettono in luce come il vero mostro non sia il vampiro ma gli uomini che schiacciano senza pietà i propri simili, per brama di potere, denaro o semplicemente per pura crudeltà.
Ancor più forte è il legame che lo unisce a Madeleine de Montalia, sua amante e compagna di vita, verso cui Saint Germain nutre un affetto particolare (Hotel Transilvania).
Madeleine: “ Non è dolce apatia, vero Saint Germain? Per tutta la vita mi è stato detto che la passione è un diritto degli uomini, e che la resa è il diritto delle donne”.
Con queste parole, Madelaine affida il suo cuore e la sua vita al millenario Saint Germain. Madelaine e Saint Germain non staranno insieme per sempre. La giovane e bella aristocratica diverrà un’archeologa, riuscirà a costruirsi un’esistenza che non potrà mai dissociarsi del tutto da Saint Germain: lui rimarrà padre, amico, amante e fratello, una sorta di stella polare.
La ritroveremo in uno dei romanzi più interessanti della Yarbro, Un destino di sfida. Personalmente, amo molto questo volume: in esso, Saint Germain viene descritto sotto un aspetto assolutamente insolito. Durante la prima guerra mondiale, il vampiro trova un’orfana russa, Laisha, e la adotta. Purtroppo, la giovane perirà tragicamente, segnando per sempre l’esistenza di Saint Germain, portandolo sull’orlo dell’autodistruzione. E sarà proprio Madelaine ad aiutarlo, a dargli una nuova ragione per vivere. Accanto a lei, altre donne: la duchessa russa sopravvissuta alla propria famiglia, cui il vampiro dona una nuova esistenza e Rudi, la vedova austriaca schiacciata da un fratello imbelle e da un nuovo marito, un fanatico nazista. Saint Germain la salva da se stessa e da quel mondo di uomini che vorrebbe le donne relegate in un letto.
In questo romanzo emerge il lato oscuro di Saint Germain: dopo alcuni mesi, il vampiro si farà giustizia della morte di Laisha con una carneficina. La mostruosità di Saint Germain non è pregnante come nel Lestat di Ann Rice eppure è sempre presente: è la sua mostruosità, il perenne ricordo del non poter essere più uomo sebbene ne abbia ancora le fattezze, l’impossibilità di poter amare fisicamente una donna, il piacere che ricava dal sangue e dal godimento dei suoi compagni di letto.
La Yarbro non ama gli spruzzi di sangue fino al soffitto: in Giochi di sangue le carneficine che si svolgono nel Colosseo sono descritte attraverso i sensi e non con immagini truculente. È l’odore del sangue, la sabbia sotto le suole che il lettore percepisce e non i corpi maciullati dalle belve o dai gladiatori. Non vi è compiacimento, ma una narrazione di impatto che colpisce il lettore e che gli consente di “vedere”. O ancora, così accade in Un destino di sfida, dove la descrizione del raid antiebreo è asettico, quasi clinico eppure durissimo, terribilmente doloroso.
C. Q. Yarbro si segnala dunque come un’autrice straordinaria che ha saputo fondere insieme romanzo storico e paranormal, con tocchi di romance e di suspense. Per me è una scrittrice da prendere a modello, sia per lo stile che per il modo con cui articola i personaggi, con cui caratterizza le vicende che descrive. Per dirla con Laurell K. Hamilton, “ Se quello che cercate è di lasciarvi semplicemente sedurre dal vampiro, ci sono altri autori che potete leggere; se preferite invece un’esperienza reale dei tempi e dei luoghi da dove il vampiro ha avuto origine, allora leggete Chelsea Quinn Yarbro”.


Romanzi pubblicati in Italia dalla Gargoyle Books:

ll palazzo, Demetrice Volandrai, splendida cortigiana al servizio di Lorenzo De' Medici, è affascinata dallo straniero che si dice sia proprietario del palazzo più sontuoso in tutta la Firenze Rinascimentale, il vampiro Francesco Ragoczy da San Germano. Circondato da capolavori d'arte e da uomini di potere, Ragoczy pratica in segreto l'antichissima scienza alchemica e, contemporaneamente,assapora la passione sopraffina che Demetrice suscita in lui. Ma un nemico mosso dal fanatismo ha dato origine a un regno di terrore che travolge la città in un turbine di superstizione e violenza. Quando Demetrice viene condannata per eresia, il vampiro cerca di salvare la sua amata.

Giochi di sangue, Roma è un crogiolo di vizi e intrighi, dove è normale che perfino un imperatore venga assassinato. L'unica realtà immutabile è quella del Circo Massimo, l'arena dove coloro che non godono più dei favori di Nerone, siano essi gladiatori o ex senatori, vengono sbranati da leoni e coccodrilli. Uno dei pochissimi uomini d'affari di successo benché non romano, Saint Germain Ragoczy, è stato fino ad ora capace di tenersi fuori dalle pericolose sabbie mobili dell'alta società romana, ma il suo primo errore sarà quello d'innamorarsi di Olivia, la moglie malmaritata di un potente senatore. E il secondo sarà quello di prestare aiuto a Rogerius, un uomo ferito a morte da un padrone avido e spietato. Adesso, come punizione per essersi intromesso, Ragoczy dovrà affrontare il Circo Massimo come attrazione per il pubblico assetato di sangue...

 Il sentiero dell’eclissi; La Cina dell'inizio del tredicesimo secolo è terra di conquista a opera delle spietate orde guidate da Gengis Khan e gli stranieri vengono visti con sospetto. Saint-Germain decide di lasciare per prudenza la città e dirigersi verso un avamposto periferico, dove aiuta una coraggiosa donna-Signore della Guerra a difendere la sua fortezza dalle truppe mongole. Successivamente, spinto dall'incalzare dei barbari invasori, il vampiro alchimista attraversa il Tibet, confrontandosi con la spiritualità dei sacerdoti buddisti, e giunge in India, dove la sua strada incrocia quella di una principessa dedita al culto di Kali, la dea della distruzione. Nella lontana terra d'oriente, Saint-Germain è coinvolto in un'avventura nella quale tra mitologia e religione, intrighi e amore, affronta i demoni che porta nel cuore e che gli lacerano l'anima...

 UN destino di sfida, Siamo in Austria all'inizio degli anni '20. Sfuggito alla prigione nella Russia post-rivoluzionaria, Saint-Germain si imbatte in un'orfana di sette anni, Laisha, e !a porta con sé nel suo castello in Baviera; divenutone di fatto il tutore, sperimenta per la prima volta nei suoi 4000 anni qualcosa di molto simile alla paternità. Vede così Laisha crescere da bimba spaventata a splendida e vivace fanciulla. Viaggiando di frequente nelle maggiori città d'Europa, la coppia prende visione di un mondo che sta vivendo grandi cambiamenti e in cui la nobiltà terriera è ormai agonizzante, mentre il nazismo bussa alla porta. Tre donne incrociano il cammino del conte: una duchessa russa rifugiata a Parigi, un'avvenente giovane vedova minacciata dall'arroganza del nuovo potere che va affermandosi in Germania, e Madeleine de Montalia, la donna con cui il vampiro condivide la propria natura e il proprio segreto. Dopo che è stato commesso un crimine orribile, Saint-Germain sarà costretto a entrare in azione, con un gesto disperato che potrebbe avere come esito, perfino per lui, la vera morte.

Le cronache di Saint Germain, raccolta di racconti

Hotel Transilvania, Parigi, 1743. Nobiluomo, avventuriero, spia, alchimista, il Conte di Saint-Germain è tutto questo ed anche qualcosa di più... una creatura dell anotte, un non-morto, un vampiro! Ma quando la giovane Madelaine de Montalia si trasferisce a Parigi per rifinire la propria educazione, viene insidiata d amali ben peggiori e sarà proprio Saint-Germain ad ergersi a suo protettore, affrontando un'arcana cospirazione ordita da poteri infernali. Combinando l'erotismo tenebroso del Vampiro con il fascino dell'avventura romantica ,Chelsea Quinn Yarbro inaugura con "Hotel Transilvania" la saga del conte di Saint-Germain, l'eroe tormentato che riscatta il suo fato oscuro combattendo per amore e per onore.

venerdì 22 ottobre 2010

Auld Reekie #3

3


Anteprima immagineIl sole morente filtrava attraverso le tende di velluto azzurro che schermavano le finestre al numero 15 di Canongate. Una stretta lama di luce illuminava la credenza di legno scuro su cui troneggiavano liquori e una caraffa d’acqua.
Nessun membro della servitù era presente.
Seduto a capotavola, Samuel teneva tra le dita un bicchiere pieno per metà di whiskey. Faceva roteare il liquore senza berlo: aveva un profumo antico, di mare e di torba, e gli riportava alla mente sensazioni che perdute. Osservava il liquido ambrato in silenzio, quasi potesse leggervi il futuro.
Quel pensiero gli strappò una smorfia simile a un sorriso amaro. Lui non aveva un futuro: il suo destino era già scritto.
Oggi come ieri, domani come oggi.
Come un serpente che cambia pelle ma che rimane sempre uguale a se stesso.
Scrutò il proprio riflesso deformato dal bicchiere panciuto. Non c’era poi molto che potesse cambiare nella sua vita: nulla e nessuno poteva modificare il passato, così come non poteva mutare quello di coloro che lo circondavano.
E nessuno avrebbe potuto cambiare il suo futuro.
O sì?
La risposta non venne e lui non si affannò a cercarla. Era così e basta. Aveva combattuto con tutte le forze contro il suo destino, lo aveva piegato a proprio favore. Non provava rimpianto per ciò che aveva perduto: sarebbe stato insensato, oltre che stupido.
Aveva forza e potere, invece, ben più di quanto avrebbe mai immaginato anni prima, quando era solo un montanaro che badava alle greggi. Aveva lottato per difendere ciò che possedeva. E così sarebbe stato per sempre…
Forse, si corresse con stizza, se coloro che li minacciavano non li avessero trovati e distrutti prima.
No. Non lo avrebbe mai permesso. Mai.
Poggiò il bicchiere sul tavolo con un colpo secco e sollevò gli occhi verso gli altri uomini presenti nella stanza.
«Dyce verrà qui. Joanne proverà a scoprire se la Fratellanza sta già facendo delle ricerche, e soprattutto, se sospettano già di noi».
Will corrugò la fronte, fissando i bicchieri sul tavolo, pieni di liquore che nessuno di loro aveva bevuto. «Avranno dei membri attivi in città?» considerò, sollevando gli occhi.
Samuel alzò lo sguardo verso uno dei due uomini seduti in fondo al tavolo, in penombra. «Sicuramente. Cercheremo di conoscere i loro nomi». Si rivolse a uno dei due uomini seduti all’altro capo del tavolo. «Zach?».
Due occhi verdi di muschio e legno lo fissarono intensamente. «Dimmi, Padre».
«Va’ a casa Dyce. Il dottore avrà un elenco dei confratelli: trovalo e scopri i loro nomi. Inoltre, rintraccia qualunque comunicazione della Fratellanza che provenga da Londra o da Cardiff».
L’uomo annuì. Mostrava all’incirca trent’anni; portava un piccolo pizzetto scuro, che sfiorò con due dita, meditabondo. Capelli castani legati dietro, viso allungato, fisico smilzo. Era vestito come un popolano: abiti lisi ma puliti. Sedeva dritto senza guardarsi attorno e parlava con tono basso, privo di accento.
«George Dyce è uno scienziato. Stento a credere che si sia fatto coinvolgere dai Fratelli della Luce in una loro crociata in un’epoca avanzata come questa».
«Il dottore non è solo un osservatore, Zach: è un ex cacciatore. Sa cogliere segni che gli altri umani non noterebbero nemmeno. Inoltre… conosce sin dall’università Burgess e Corbridge».
Nel sentire quei nomi, sguardi tesi corsero da una parte all’altra del tavolo.
Un silenzio irreale cadde nella stanza. Nessun suono. Nessun respiro.
«Sapranno già della nostra esistenza qui a Edimburgo?»
Fu Oliver a porre quella domanda, sollevando gli occhi glaciali dal bicchiere.
Samuel rispose dopo alcuni istanti, con lentezza.
«A mio avviso lo ritengono possibile: Edimburgo è la capitale della Scozia, ed è una città popolosa. Se hanno anche solo un sospetto, ci staranno alle costole finché non avranno la certezza assoluta e, a quel punto, colpiranno immediatamente. Se non riusciremo a batterli sul tempo, dovremo affrontarli» mormorò, alzando gli occhi simili a lapislazzuli. «E non ci sarà concesso alcun errore»


Accidenti al mondo intero! Bridget Tibbs scalciò via un topo che era sgusciato tra i piedi, lungo le scale che portavano al tugurio dove viveva. Lasciò alle spalle il sole morente che bagnava le facciate dei palazzi e iniziò a scendere nell’oscurità.
Era di pessimo umore, spaventata e avvilita.
Niente. Non aveva trovato un lavoro. Era riuscita a tirare su un piatto di stufato in una taverna lasciandosi mettere le mani addosso dal cuoco, ma nulla più: nessuno voleva dare lavoro alla sorella di un ladro impiccato.
«Maledizione a te, Joseph», imprecò. Suo fratello era stato un idiota a farsi arrestare e adesso che era morto, aveva lasciato lei a trascinare la carretta.
Una zaffata di fetore nauseante l’accolse appena giunse sottoterra: quello era il ventre di Edimburgo, di Auld Reekie, la vecchia puzzolente. Quei vicoli sotterranei erano il suo intestino molle e malato. Lei stessa era come un verme, un parassita che la infestava, come tutti i pezzenti che galleggiavano nelle fogne ai piedi del Castello.
L’umidità, laggiù, era la cosa peggiore. L’umidità e il freddo che entravano nelle ossa. E poi ancora la puzza, i topi, la sporcizia...
Si sfilò lo scialle e una massa sporca di riccioli scuri le scivolò sulle spalle. Rabbrividì, sentendo dei colpi di tosse stizzosi: era Mary, una vecchia mendicante. Prima o poi, anche quella avrebbe tirato le cuoia e finalmente avrebbe potuto dormire una notte in pace.
Trascinando i passi, arrivò fino a un arco scavato nella pietra, coperto da una tenda. Il vicolo che aveva percorso era stretto, buio, illuminato da torce che scoppiettavano, diffondendo una luce rossastra, metallica.
Sospirando, Bridget entrò nella stanza e strizzò i grandi occhi scuri per vedere dove metteva i piedi. Filtrava a malapena un po’ di luce dalla tenda e dal braciere che scaldava la stanza. Meglio così, pensò: almeno evitava di vedere il letamaio in cui viveva. Quattro pagliericci gettati lungo le pareti, delle ceste in cui tenevano i loro stracci, una madia sbrecciata che non conservava cibo da tempo.
Sua madre era rannicchiata a sonnecchiare in un angolo: stava così da due giorni, da quando aveva visto impiccare Joseph. Dei suoi fratelli, neanche l’ombra. Che andassero al diavolo anche loro, imprecò fra sé. Che spariscano, ingoiati dall’inferno e non si facciano più vedere.
Si lasciò cadere davanti al fuoco abbracciandosi le gambe. Era stanca.
«Hai portato qualcosa da mangiare, Brid?», chiese una vocetta acuta, alla sua destra.
La ragazza si voltò con lentezza. Due occhietti vispi, scuri come i suoi, la fissavano nel buio: era David, il più piccolo di tutti i suoi fratelli, raggomitolato in mezzo alla paglia.
Bridget annuì: qualcosa aveva, sì. Quel porco del cuoco si era voltato per mettere lo stufato nella ciotola e lei aveva afferrato un pezzo di pagnotta nascondendolo sotto il vestito. Mise la mano sotto la camicia e tirò fuori un pezzo di pane, spezzandolo con le mani sudice. Il bambino l’afferrò, arretrando contro il muro. Era vorace, ansioso di finire presto: temeva che i fratelli maggiori tornassero da lì a poco. Allora gliel’avrebbero rubato.
Bridget distolse lo sguardo, tornando a fissare la fiamma nel bacile di rame. Per quella sera, lei non avrebbe avuto fame, ma domani? E dopo? Avrebbe dovuto farsi di nuovo mettere le mani addosso? Non voleva. Piuttosto, sarebbe andata a rubare: persino il rischio di finire sulla forca era preferibile a quella miseria infame.
D’un tratto, la madre si voltò verso di lei e la fissò con occhi velati.
«Bridget, sei tu? E’ tornato Joseph?».
La ragazza aprì la bocca per rispondere, poi la richiuse con uno scatto. A sua madre era definitivamente andato di volta il cervello da quando avevano tirato giù Joseph dalla forca. Si limitò ad allungarle un pezzo di pane.
«Sì, ma’. È già uscito. Ti ha lasciato del pane».
La donna, con il viso simile a una corteccia d’albero sbiancata dal sole, allungò la mano fino a trovare il pane: lo tastò, incerta, e poi lo ficcò in bocca mugolando.
Bridget deglutì a vuoto, mentre il sapore acre della rabbia le avvelenava la gola. Avrebbe avuto voglia di urlare: era arrabbiata con suo fratello che si era fatto arrestare e impiccare come un babbeo, con la madre che si era buttata addosso un secchio di lisciva, con un padre che neanche aveva conosciuto, con i suoi fratelli, dannati accattoni.
Con sé stessa.
A dirla tutta, avrebbe voluto esserci lei al posto di Joseph. A quest’ora, lui non stava a preoccuparsi di cosa mettere sotto i denti visto che i vermi stavano mettendo sotto i denti lui.
Dietro la tenda si mosse qualcuno, un’ombra leggera. La ragazza trasalì per un istante, poi tornò a guardare il fuoco; David si era allungato vicino a lei e si era rannicchiato contro le sue ginocchia per cercare un po’ di calore. Senza parlare, Bridget prese una coperta e lo coprì; poi lo spostò sul pagliericcio accanto alla madre, affinché lo tenesse caldo con il suo corpo. David protestò debolmente nel sonno e socchiuse gli occhi, stringendosi alla madre. La donna guardò il bambino con aria assente: da tempo non riconosceva più i figli più piccoli.
Carica d’insofferenza, Bridget decise di uscire. Se doveva andare all’inferno, tanto valeva iniziare subito a camminare.
David sollevò la testa. «Dove vai?» chiese con la vocina impastata dal sonno.
La sorella non rispose: si limitò a guardarlo per un istante, con la mano sulla tenda, il viso immerso nella penombra dorata di una torcia. Scosse la testa in silenzio.
Poi sparì.


Era ormai notte fonda. La casa immersa era nel silenzio; il crepitio delle fiamme era l’unica cosa che si udiva nella stanza buia. Le tende rosa carico erano tirate sulle finestre, le lenzuola ripiegate con le coperte.
Tutti gli altri erano fuori.
A caccia.
In casa c’era solo lei, e Samuel.
Joanne scostò dalla fronte i capelli sciolti e tornò a fissare la fiamma nel camino. Aveva freddo, un freddo gelido che non voleva andarsene e che giungeva sino all’anima. Si sedette a terra davanti al fuoco, abbracciandosi le ginocchia, guardando le fiamme senza vederle. Subito la pelle del suo viso perfetto divenne calda, i piedi e le braccia acquistarono un tepore piacevole.
Eppure, continuava a sentire freddo.
Un gelo che non sarebbe andato mai via, che partiva dal cuore e che arrivava fino al cervello.
Chiuse gli occhi. Il letto dietro di lei era pronto per la notte, con lo scaldino tra le coperte. Poteva coricarsi, ma non sarebbe servito a nulla. Non avrebbe dormito.
Non poteva.
Il freddo e l’amarezza non sarebbero andati via, mai. Non aveva senso rinviare oltre. Chiuse gli occhi e affrontò il suo buio.
Tutto era scaturito da qualcosa che lei non aveva mai voluto. Era semplicemente… accaduto. Aveva spezzato la sua vita, regalandole un’esistenza diversa, aveva dovuto affrontare tutto ciò che era successo, dopo.
Aprì di nuovo gli occhi, tornando a fissare le fiamme. Quel movimento continuo, mai uguale a se stesso la tranquillizzava, togliendole un po’ dell’amarezza che l’avvelenava. Strinse più forte le braccia attorno alle gambe.
Diamine! Si rimproverò, aspra. L’unica cosa certa che possedeva era la sua esistenza. Ciò che aveva subito era terribile, ma erano ormai trascorsi molti, moltissimi anni, e non poteva far altro che conservare i frammenti della sua anima.
Custodire gelosamente il ricordo di colei che era stata.
E proprio perché era tale, il passato non poteva essere cambiato.
«I tuoi soliti fantasmi, Joanne?».
La ragazza non si voltò nell’udire quella voce. Sentì il tonfo leggero della porta che si chiudeva e passi che si avvicinavano. Sorrise mesta, stringendosi nelle spalle.
«Fantasmi… Già».
Samuel scivolò accanto a lei con un movimento fluido. Si sedette e lasciò che Joanne gli appoggiasse la testa sulla spalla.
«Non pensi mai al passato, Samuel? A quello che siamo stati costretti ad abbandonare?»
L’uomo non rispose subito. Sistemò un ceppo con l’attizzatoio, tenendo gli occhi fissi sulla fiamma.
«Cambierebbe qualcosa, Jo?».
La donna sorrise: era il suo modo di chiamarla, quando erano stati giovani e inesperti. «Probabilmente no. Né io né tu abbiamo avuto possibilità di scelta. Lui… ci ha preso e basta».
«Nessuno di noi… né Zach, o Ester, o Lizzie ha avuto la possibilità di rifiutare. Siamo stati cambiati, soffrendo per ciò che abbiamo perduto. Per lungo tempo l’ho odiato per ciò che mi aveva fatto… Poi ho capito che non poteva essere altrimenti, che l’unico modo per sopravvivere era rinunciare a me stesso… e che questo era il mio destino».
Joanne scosse la testa, incerta. Colui che aveva distrutto le loro vite era ormai polvere da un secolo, eppure non riusciva a dimenticare la rabbia, la paura e l’angoscia che aveva provato. Non riusciva nemmeno a pronunciare il suo nome o chiamarlo con il titolo che gli spettava: Padre. Quell’essere li aveva strappati alle loro vite, li aveva catapultati in un’esistenza fatta di buio che non conoscevano, cui avevano dovuto aggrapparsi per sopravvivere.
O la morte… o “quella” esistenza.
Samuel, no. Da quando era divenuto il loro Padre, aveva agito in maniera opposta. Sapeva qual era la cosa più importante che possiede un uomo: la libertà di scegliere il proprio destino.
«Tu hai chiesto a Will e John. E anche Oliver, a suo modo, ha scelto di seguirti. Non hai agito come… lui».
Samuel scosse la testa. «Hai detto bene: loro hanno scelto. Hanno cambiato la loro natura e, per questo, non hanno ripensamenti o dubbi».
«Grazie a te».
Lui sorrise, quasi una smorfia. «Sentivo che era giusto».
Si scambiarono uno sguardo fugace: un’occhiata fatta di complicità, di ironia e amarezza, che non aveva nulla a che fare con il sesso o l’amicizia. Era affinità. Come guardarsi in uno specchio.
Joanne tornò ad appoggiare il capo sulla spalla di Samuel parlando con voce sommessa.
«A volte, mi piace essere ciò che sono: sento la forza del mio ruolo e ne sono fiera. So di cosa sono capace. Altre volte invece, non riesco a credere di essere diventata… questo. In certi momenti, mi sento stanca di dover affrontare una vita fatta di segreti e di buio. Vorrei tornare a essere solo Joanne Moore di Galashiel. Joanne… e basta».
Samuel chinò il capo, scrutandola per alcuni istanti. Sul viso, un’ombra di compatimento.
«Non è possibile. Non lo sarà mai più, per nessuno di noi» mormorò atono, lo sguardo perso nelle fiamme. «A noi è stato concesso più di quanto gli altri esseri umani possano immaginare. Siamo riusciti a resistere senza impazzire, senza lasciarci morire di dolore. Siamo sopravvissuti perché abbiamo la forza e la volontà per essere ciò che siamo».
E si voltò. I suoi occhi, all’improvviso, avevano una luce selvaggia, quasi compiaciuta.
«Caccia via i tuoi fantasmi, Joanne. Non permettere loro di schiacciarti o ti indeboliranno fino a distruggerti. Non voglio che accada: tu sei troppo importante per me e per tutti noi». Sorrise, sfiorandole il viso con il suo. «Sei la mia sorella prediletta: godi del potere che hai e vivi la tua condizione senza nostalgie inutili».
Joanne si raddrizzò, coprendosi il viso con le mani, come per lavare via i dubbi che la stavano corrodendo. Le parole di Samuel le entrarono nella testa lentamente, disperdendo rabbia e rimpianti. Lui aveva ragione: non poteva permettere al passato di interferire con il presente e con il futuro. Quello era ancora da scrivere e poteva essere cambiato.
«In questo momento è il mio capo a parlare o mio fratello?», chiese, con un’occhiata in tralice.
«Tuo fratello», rispose lui, e si volse a fissarla. La luce di compiacimento era stata sostituita nei suoi occhi da qualcos’altro: si erano fatti duri come zaffiri freddi e un’ombra di arroganza nuotava nel suo sguardo blu. Con uno scatto si alzò in piedi e le tese la mano.
«Vieni con me».
«Adesso?» chiese lei, spalancando gli occhi per la sorpresa, indicando la sua vestaglia.
«Subito».
Aprì la bocca per rifiutare ma non riuscì a farlo: l’invito era troppo eccitante. Era notte fonda e non usciva a caccia da più di tre sere.
Un brivido le percorse la schiena, ben più gelido del freddo che aveva provato poco prima. Samuel le venne dietro: sciolse il nastro che teneva legata la veste da camera e la sfilò giù lungo le braccia nude, delicato come un amante. Le prese la mano, tirandola verso la finestra. «Passeremo dai tetti: non voglio rischiare una doccia puzzolente».
Joanne rise. Una risata liberatoria, vitale. «Ci prenderanno per fantasmi!».
Samuel aprì la finestra, guardandosi attorno. «Meglio, non credi? Edimburgo è piena di fantasmi!». Si affacciò su un piccolo cortile, lo stesso su cui si dava il suo studio privato. «E poi, siamo più simili ai fantasmi che agli umani» considerò con un’alzata di sopracciglia sarcastica. Scivolò fuori con un solo movimento e sparì.
Joanne spense la candela accanto al letto, poi corse alla finestra e scavalcò con le lunghe gambe agili il davanzale. L’angoscia si era dissolta come vapore, assumendo i contorni sfumati di un pensiero fastidioso. Samuel l’attendeva, aggrappato alle pietre sporgenti sulla parete.
Una scarica di energia simile a una frustata le corse sottopelle. Fu un brivido sconvolgente che le causò una vertigine: era lì, su un muro a numerosi piedi d’altezza, e stava sfidando qualunque legge della natura. Era viva mentre tutto ciò che apparteneva al suo passato era morto.
Cenere.
«Allora? Dove mi porterai?» domandò a Samuel seguendolo su per il tetto. La camicia da notte si sollevò attorno alle gambe e il vento gelido, con una folata improvvisa, le scompigliò i capelli che mulinarono attorno al viso.
Samuel le indirizzò un sorriso malizioso, scintillante nel buio. «Voglio dare un’occhiata a una  ragazzina».
«Avrei dovuto immaginarlo» commentò Joanne sarcastica. 
Samuel ridacchiò. «Sai che amo il sangue giovane».
E infine arrivarono sul tetto.
Eccola lì Edimburgo, ai loro piedi. Tutto il Royal Mile, dal castello a Holyrood, dai Salisbury crags fino alle nuove case al nord. Bellissima e sporca, sovraffollata fino all’eccesso, buia, puzzolente, eppure splendida. Regale.
I tetti di ardesia risplendevano come piombo lucido sotto le stelle. Alcune nuvole invadevano il cielo da nord con una promessa di pioggia per il mattino seguente. Le lanterne delle ronde notturne spezzavano l’oscurità, dondolando al ritmo dei passi; il vento che spazzava la strada, produceva un suono lamentoso, fischiando tra i vicoli. E poi ancora voci, suoni, vita che si mescolava sotto di loro, trasformavano in sussurri udibili a malapena.
«Non è splendida?», sussurrò Samuel a Joanne, con tono reverenziale, in equilibrio sul tetto, con l’orgoglio negli occhi.
Lei sapeva quanto amasse Edimburgo. La sua espressione compiaciuta le strappò un sorriso, mentre ricambiava la stretta. «Sì. Ed è tua».
Le passò un braccio attorno alla vita e la strinse a sé. Il volto dell’uomo divenne serio di colpo. «Sì. Mia, e tua, e dei tuoi fratelli. E’ nostra».
Socchiuse gli occhi, guardando verso il basso, mentre il vento gli scostava i capelli dalla fronte.
Un intero mondo ai suoi piedi, fatto di vita, morte, miseria, fame, dolore, ricchezza, potere. Di segreti e sangue.
Era la sua città, quella, da quasi centosessanta anni. Il suo dominio.
Il loro territorio di caccia.
«È nostra, Joanne», ripeté, duro. «È la mia casa… e non permetterò a nessuno di portarmela via».