Capitolo 8
«Buongiorno, Margareth.»
La voce quieta di Joanne risuonò nella sala da pranzo piena di una luce mattutina pigra. Entrò e chiuse la porta alle spalle della domestica, lanciando uno sguardo penetrante ai suoi fratelli.
«Finalmente sei arrivata! Quella dannata vecchia non la smetteva di ronzare qui attorno». Ester respinse il piatto di pancetta che si trovava dinanzi. «Cielo, questa roba mi nausea! Ma è proprio necessario fingere di mangiare?»
Joanne le rispose con pazienza, prendendo un piatto con delle uova dal servo muto. «Non piace a nessuno di noi, Ester, ma non abbiamo alternative. La Fratellanza è alle nostre calcagna e non possiamo permettere che la servitù inizi a sospettare qualcosa.»
Mise il piatto dinanzi a sé e rimestò il cibo con le posate; poi sollevò lo sguardo su Samuel, che leggeva il giornale.
«Che cosa pensi di fare?» domandò, a voce bassa.
Nella stanza cadde il silenzio.
Samuel le rispose senza guardarla, continuando a leggere lo Scotsman. Dinanzi a lui, un piatto di salsicce giaceva intonso, assieme ad una tazza di thè. «Sto portando a termine la cessione dell’impresa con Oliver. Le ragazze, Will e John partiranno entro questa settimana; io e te, la prossima. Annunceremo la nostra intenzione di fare un viaggio in Europa, per climi più caldi. Oliver rimarrà qui, assieme a Zach.» La scrutò, gli occhi piantati nei suoi, fissandola senza battere ciglio. «Spero per te non sia un problema.»
Joanne abbassò lo sguardo sul piatto. Per un momento ebbe voglia di urlare che sì, era un dannato problema. Ma non poteva: Samuel era il suo capo, prima ancora di essere suo fratello di sangue. Lei, Ester, Lizzie, Zach e Samuel avevano avuto lo stesso padre: lo stesso vampiro li aveva trasformati. Samuel era il più anziano tra tutti loro e aveva preso il comando quando Robert, il loro Padre, aveva cessato di esistere molti decenni prima.
Will, John, Oliver, invece, erano stati creati da Samuel. A differenza di Robert, lui aveva offerto la possibilità di scegliere: aveva dato loro la libertà di accettare o meno la via del sangue, cosa che Joanne reputava sacrosanta.
Quanto a lei, aveva un compito specifico: era la Guardiana. Le era stata affidata la tutela dei suoi fratelli;sarebbe stata lei a sostituire Samuel, nel caso in cui fosse perito.
Lui le lanciò un’occhiata obliqua; poi tornò a immergersi nella lettura. «Zach verrà stasera: sta tenendo d’occhio la casa di Dyce. Will gli darà il cambio stanotte.»
«Ha trovato qualcosa?», chiese Joanne, allontanando il piatto con un gesto secco: Ester aveva ragione, l’odore del cibo era nauseante.
«Poco: lettere di Corbridge e di Faber, nulla che già non sapessimo. Purtroppo, non vi era nessun elenco riguardo ad altri contatti qui in città.» Samuel richiuse il giornale con un gesto secco, persino nervoso. «Stanno progettando un’offensiva contro di noi. È questione di tempo.»
«Quanto pensi che sappiano?», domandò Lizzie, inquieta.
«Molto, temo. Tellman, il responsabile della Fratellanza di Londra ha una missiva di Oliver e una mia lettera indirizzata a Sirius: entrambe sono dirette a quest’indirizzo: Zach ha letto gli appunti di Dyce.»
Joanne sgranò gli occhi. «Ma… sono lettere di sessantanni fa!»
Samuel aprì le braccia, stizzito. «Già! Le hanno conservate, accidenti a loro! Appena realizzeranno il collegamento tra gli autori delle missive e noi, ci avranno scoperti. L’unica cosa da fare è anticipare la partenza.»
Joanne picchettò con le dita sul tavolo, poi annuì con energia. «Dobbiamo agire tenendo un comportamento il più possibile usuale. Per fortuna, è nuvoloso e non avremo problemi con il sole. Preleveremo delle somme di denaro per ogni esigenza. Limiteremo le uscite notturne; saremo sempre in coppia o più, mai da soli. Resteremo solo io e te; Zach rimarrà in incognito e Oliver dovrebbe essere al riparo dai sospetti, visto che è ricomparso da meno di tre anni e che non vive con noi.»
«Molto bene. Comunica queste disposizioni agli altri e…».
Samuel spalancò gli occhi, lanciando uno sguardo alla porta. Un istante dopo, qualcuno bussò e di colpo, tutti finsero di mangiare. Persino Ester arricciò il naso e accostò la tazza di the alle labbra.
«Il vostro segretario, padrone», annunciò la governante.
Will entrò, chiudendo la porta alle spalle. Il suo sorriso aveva un che di furbo e di malizioso, quella mattina. «Buongiorno signori. Sappiate che da qui a tre minuti diluvierà, quindi è il momento adatto per uscire. Sarà nuvoloso per tutto il giorno.»
«Volete una tazza di caffè, signor Munro?». Joanne aveva parlato con voce rilassata, ma con gli occhi fissi alla porta. Quell’impicciona della governante stava origliando di nuovo.
Will si voltò a fissare la porta chiusa e ridacchiò. «Sì, grazie, signora Griffin. Sapete, stanotte abbiamo fatto tardi con il signor Hates Hates.»
Passi furtivi, umani, si allontanarono lungo il corridoio. Piatti e bicchieri tornarono sul tavolo.
Ester rise: John era rientrato alle cinque del mattino, con addosso l’odore di una femmina umana. Lizzie si limitò a scuotere il capo, contrariata. «Non dovreste passare la notte in giro da soli, con tutto quello che sta succedendo», considerò la ragazza a bassa voce, tenendo gli occhi fissi sulla porta. «Potrebbero attaccarvi.»
Will prese una tazza, la riempì di caffè e si sedette a tavola. Il suo buonumore non era stato scalfito dalla tensione che si sentiva nella stanza. Si strinse nelle spalle. «I Fratelli della luce? Che possano farsi fottere all’inferno!».
Samuel alzò gli occhi. Erano glaciali.«Ci sono delle signore in questa stanza, Will. Non gradisco che tu ti esprima in questo modo.»
Nella stanza calò un silenzio imbarazzato. Samuel si alzò in piedi e li fissò, uno a uno. «Non stiamo scherzando. Lo ripeto: la nostra salvezza dipende da quanto riusciremo a essere credibili. Stiamo rischiando tutto ciò che abbiamo, il nostro mondo può andare in pezzi da un momento all’altro e noi con lui. Sei Fratelli della Luce ci scoprono, non avremo possibilità di salvarci. Avete capito? Nessuno scampo. Moriremo tutti.»
Il nostro mondo è in pericolo, pensò Samuel con gli occhi fissi sul selciato sporco di fango. Tutto ciò che ho costruito, i miei figli, i miei fratelli… potrei perdere ogni cosa.
Per secoli, lui e i suoi simili si erano mescolati agli umani, vivendo con loro, prendendone le abitudini, generazione in generazione. Questo era potuto accadere perché molte delle leggende sulla loro natura erano false e gli uomini ignoravano quale fosse la loro vera essenza.
Erano corpi morti. Non respiravano: l’aria non era più necessaria, simulavano solo per mimetizzarsi meglio. Il loro fisico non aveva più le caratteristiche umane: non sentivano più fatica o dolore. Non avevano più un cuore che batteva. Non potevano neanche essere uccisi da un paletto, né urlavano dinanzi a un crocifisso o all’acqua santa.
Non potevano stare alla luce del sole, era vero, ma questo non significava che non potessero uscire di giorno. L’importante era che i raggi del sole non li colpissero direttamente, altrimenti la loro pelle si sarebbe ustionata, accartocciandosi come un mucchio di foglie secche. Il fuoco li indeboliva ma non li uccideva.
C’era solo un modo per eliminarli, e su questo il mito aveva ragione: tagliare loro la testa. Purtroppo, i Fratelli della Luce lo conoscevano bene.
Avevano bisogno di sangue umano per nutrirsi. Tuttavia, disciplina e rigore avevano dato i loro frutti e adesso il numero delle loro vittime era divenuto molto basso.
Quasi, si corresse poi, con un sorriso soddisfatto. Il ricordo della notte precedente riempì la sua bocca di un sapore dolce e caldo. Si leccò le labbra e tornò a concentrarsi sul carteggio che aveva davanti: un mucchio di ricevute che dovevano essere controllate prima di liquidare la sua impresa. Gli piaceva quel lavoro: aveva posseduto attività commerciali sin dal secolo precedente e aveva scoperto di possedere talento per gli affari. In questo lo aiutava Oliver, che si occupava della gestione degli affari legali: era un avvocato molto preparato.
E non solo: era una creatura di una freddezza e di una determinazione fuori dal comune.
Mentre Will aveva mantenuto alcuni brandelli di umanità, Oliver invece, li aveva sradicati con metodica precisione. In un tempo brevissimo, aveva ottenuto quel distacco dall’umanità che gli esseri come loro ottenevano con anni di buio, di massacri e assassinii.
Era lo scotto da pagare per la loro condizione. E tuttavia, da prezzo, si trasformava in vantaggio: niente pene, niente rimpianti, niente sofferenza. Il disprezzo di tutto ciò che era umano diventava liberatorio, aiutando a vedere la vita per ciò che è: un tempo più o meno breve, affannato,pieno di illusioni in cui non esisteva uno scopo, né sicurezze se non quella della morte.
Sapeva guardare oltre la condizione umana. Sentiva il bisogno… la fame di vita e non si tirava indietro dinanzi a niente per proteggere ciò che aveva di più prezioso: l’immortalità.
Molti esseri umani non si rendevano nemmeno conto di essere al mondo: consideravano la propria vita senza fine, mentre il tempo fluiva addosso loro, senza accorgersi di invecchiare fino a morire. Non sapevano che sarebbe bastato uno schiocco di dita del destino per spezzare quell’illusione.
Samuel, invece, lo sapeva: per primo era stato vittima di quello schioccar di dita; a sua volta, il destino si era servito di lui per porre fine a delle esistenze inutili.
Senza rimorso alcuno.
Nascosto nell’ombra di un portone, Zach osservò l’entrata del numero 17 di Albany street. Sopra di lui, un cielo grigio, basso, che sembrava dovesse dissolversi in una tempesta da lì a pochi istanti.
George Dyce aveva avuto visite: tre gentiluomini. Senza dubbio, qualcosa di strano si stava preparando: era rimasto sveglio tutta la notte, inquieto, a passeggiare nel suo studio. Zach lo aveva spiato, nascosto nel buio della sala d’ingresso, ed era scivolato via poco prima dell’alba, quando la sguattera di cucina si era alzata per accendere il fuoco. Sorvegliava quella residenza da giorni, la conosceva bene e ormai entrava ed usciva a suo piacimento.
Zach Shaw sapeva forzare le serrature, sbloccare fermi e chiavistelli; era silenzioso e leggero, un soffio di vento. Lui era la spia nel loro gruppo, ombra tra le ombre. Era colui che non esisteva.
Iniziò a piovere. Zach sentì delle gocce bagnargli il collo sotto la falda del cappello. In pochi istanti, la pioggia aumentò d’intensità, e lui capì che quello era il momento adatto per avvicinarsi alla casa per sbirciare all’interno.
Mescolandosi ai passanti che correvano per trovare riparo, si avvicinò all’abitazione di Dyce e si nascose dietro un anfratto dinanzi all’ingresso. Da lì, attraverso il velo spesso della pioggia battente, riuscì a vedere i tre uomini che parlavano con il medico. In quel momento qualcun tirò via le tende dalla finestra, forse per ottenere più luce e Zach si accorse che non erano soli: altri uomini erano nella stanza assieme a loro.
Chi accidenti erano quei due?
Con una mano sul cappello, Zach allungò il collo. Tutti gli uomini erano chini su un tavolo, coperto di carte e mappe della città. Uno di loro gesticolava, gli altri annuivano. Dyce, un po’ più distante, seguiva con lo sguardo la discussione. Aveva l’aria angosciata e scuoteva il capo.
D’improvviso, uno di loro alzò la testa di scatto e si voltò verso il padrone di casa che annuì, con energia. L’altro rise e un secondo uomo si alzò per bere un bicchiere di vino, dopo aver indicato dei punti su un foglio.
Per la prima volta dopo più di un secolo, Zach sentì un brivido. Non era eccitazione o di desiderio. Con fatica, quasi con stupore si rese conto che era un’emozione stridente, improvvisa, che lo sconvolse fino a fargli spalancare gli occhi. Perché aveva avuto paura.
Aveva riconosciuto quegli uomini, ne aveva visto i ritratti molte volte.
Michael Burgess e Spencer Corbridge.
I capi della Fratellanza della Luce.