Prefazione di Alessandra Zengo by Diario dei pensieri persi
Cari lettori,
ormai conoscete bene il mio temperamento da pazza e potete immaginare se questo mio carattere si scontra con l'estro multiforme di Stefania. Ne consegue che durante la telefonata nasce l'idea di fare una "seduta spiritica" con degli autori passati che entrambe amiamo e dato che il 16 dicembre ricorre l'anniversario della nascita di Jane Austen abbiamo pensato bene di evocare il suo spirito nel tepore dello studio di Samuel al numero 12 di Moray Place, Edimburgo. Una nuova rubrica pazzerella che speriamo vi possa piacere e far affiorare un piccolo sorriso alle labbra. Un'occasione per rivivere le atmosfere dei grandi Classici con divertimento e ironia. Vi aspettiamo però a Gennaio con lo speciale (serio!) interamente dedicato a Jane Austen dove riscopriremo i suoi romanzi più famosi, la sua vita privata e molto altro ancora!
Serata da lupi, qui a Edimburgo.
Il vento soffia forte contro le finestre di Moray Place, portando una pioggerella mista a nevischio che sporca il selciato e segna con una sottile linea bianca i davanzali. Alessandra ed io siamo qui a parlare di libri e di progetti futuri, sprofondate nel comodissimo divano di seta moiré dello studio di Samuel.
"Loro" sono fuori. Non c'è bisogno che vi spieghi perché, giusto?
Scruto con occhi distratti la libreria di Samuel fino a che il mio sguardo non è attratto da un volume antico rivestito di marocchino. Alessandra, gli occhi curiosi, le lunghe gambe raccolte sotto di sé, mi osserva mentre lo prendo e lo sfoglio, pagina dopo pagina.
"Cos'è?" chiede lei, venendomi accanto.
"La prima edizione di Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen" rispondo, accarezzando con dita riverenti le pagine che hanno quasi due secoli. "Strano trovare un libro del genere nella biblioteca di un vampiro".
Mi stringo nelle spalle.
"Lo avrà acquistato per Emily" ipotizzo. La seconda di copertina mi smentisce clamorosamente. E' un regalo che Samuel ha fatto a Marianne, nel 1974. Ho un groppo alla gola.
“Davvero? Fa’ vedere un po’!” Alessandra non sembra accorgersi del mio turbamento: le cedo il volume e lei inizia a leggere l'inizio, uno degli incipit più celebri della storia della letteratura.
"E' una verità universalmente riconosciuta che uno scapolo..."
In questo momento, provo una profonda invidia per i miei amici immortali: sono stati più che testimoni del passato. L’hanno vissuto, hanno sentito il cigolare delle carrozze sul selciato di pietra, hanno osservato albe e tramonti in una nazione che stava per cambiare in maniera radicale…
Sì, lo so, sto scantonando come al solito. Scusate.
"Certo che Jane Austen doveva essere una tipa tosta". Alessandra annuisce convinta. "Una donna che ha rifiutato il matrimonio, che ha scritto per anni affrontando una società imbalsamata come quella inglese doveva essere davvero sicura di sé... o almeno penso che fosse così. Chissà come era davvero!"
"Potremmo fare una seduta spiritica per chiederglielo!" butto lì ridacchiando.
Lo sguardo di Alessandra, a metà tra il sorpreso e l'entusiasta, trasforma il risolino in una risata vera e propria.
"Giuuuuuuusto! Facciamo una seduta spiritica?"
Ok. Alessandra ha bevuto troppo whiskey. La mia faccia deve avere la stessa espressività di una parete intonacata in bianco. Alessandra annuisce vigorosamente e mi afferra il braccio con una stretta carica di energia.
"Non credo che sia il caso... Non è possibile..." azzardo, con una voce degna di Woody Allen dinanzi allo psichiatra che gli chiede perché adoperi sempre gli stessi occhiali dagli anni Sessanta a oggi.
"Dai! Proviamoci! Siamo in una residenza georgiana che trabocca vampiri e tu mi dici che non credi possibile fare una seduta spiritica?" Ops. Battuta sul mio stesso campo. "Alyssa ha un tavolino a tre piedi nel suo studio, non è vero?"
Accidenti. Alessandra è partita in quarta. Anzi, In sesta. E' scattata via, alla volta della stanza di Alyssa che ha - sicuramente - un tavolino a tre piedi. Georgiano, è ovvio.
"Ale, aspetta..." Niente da fare: è sparita. E meno male che è di casa qui, altrimenti l’avrebbero già bell’e dissanguata.
Torna dopo pochi istanti, sbuffando, con un tavolino di ciliegio tra le mani. La sua espressione dice solo una cosa: Let's do it!
Confesso di essere nervosa: tutto questo giocare con spiriti e bicchierini mi da un po' di fastidio, mi sento... strana. O sarà il temporale che ha sostituito la nevicata? Già. Adesso il vento non è più un soffio indiscreto ma un vero e proprio rombo, potente e violento, che si abbatte contro le pareti dell'abitazione, assieme a raffiche di pioggia.
"Ci manca solo Jack lo Squartatore dietro la tenda", mastico a mezza voce mentre Alessandra si siede dinanzi a me con aria ispirata. Perché ho parlato? Perché?
"Tu. Sei. Una. Fifona", mi deride. Prende le mie mani, gelide, nelle sue che sono calde e ferme.
"Non mi piace pasticciare con gli spiriti" ammetto guardandomi attorno.
"I morti devono restare dove stanno." L'occhiata di Alessandra è devastante quasi più della sua risata, carica di candido, purissimo sadismo.
"Tu sei l'ultima persona che può dire questo. Dov'è che è morto Oliver?" Taccio, è meglio. Molto meglio. Con aria ispirata, lei chiude gli occhi e alza il viso, quasi annusando l'aria. Alester Crowley era nessuno al suo confronto.
"Spiriti... anzi, no, aspetta. Spirito di Jane Austen..." "E già che ci siamo, anche di William Thackeray", aggiungo. Le scappa una risata. "Zitta!" mi rimprovera, riaprendo gli occhi.
Poi riprende, con voce talmente seria da essere quasi credibile.
Il colpo arriva, e pure bello forte. Un tonfo secco, che giunge da un punto indefinito della stanza e che, per un istante copre il fragore della tempesta.
Urlo, faccio un salto indietro, cerco di lasciare le mani di Alessandra ma non posso, non ce la faccio. La sua presa è ferrea, le mani sono artigliate ai miei polsi e il viso è terreo, gli occhi semichiusi.
Oddio, ha un infarto, è la prima cosa che penso. Adesso muore e la seduta spiritica la facciamo in diretta! Poi mi rendo conto che non è morta e nemmeno moribonda: è - semplicemente - in trance.
"Chi è che mi chiama?" Una voce matura, dolce e un po' nasale viene fuori dalle labbra della mia amica. Bene. Oltre la trance, è arrivato pure lo spirito. Lo spirito? Un fantasma. Un'entità soprannaturale. Uno spettro. Un ectoplasma... No, aspetta, quelli sono verdini o bianchicci e puzzano anche un po'. O era Ghostbusters? Deglutisco. Darei due... no, facciamo tre dita della mano (e mia suocera) per un bicchierino di quello forte. Uno spirito. Resto in attesa, poi Alessandra, o chi per lei, mi fissa con uno sguardo sarcastico. "Allora? Perché mi avete convocato, mortali?" Calma. Respiro, poi abbozzo un sorriso idiota e costringo le mie labbra a porre la domanda.
"Chi sei tu?" Il temporale è l'unico suono che si sente nella stanza, oltre ai nostri respiri: affannato il mio, lento e profondo quello di Alessandra.
"Sono uno spirito. E, nella mia vita mortale, il mio nome era Jane Austen."
Ahia. L'abbiamo combinata grossa. Provo a tirar via le mani da Alessandra ma lei non molla: mi tiene avvinghiata, tanto che mi formicolano le dita.
"Potrebbe allenare la presa sulle braccia? Sa, non vorrei che si bloccasse la circolazione…” cincischio.
La stretta si fa più forte: evidentemente non vuole mollarmi.
“No, eh?” D’accordo: sono costretta in una stanza di una dimora di vampiri con una medium che non sa di esserlo, in compagnia dello spirito di una famosa scrittrice e fuori c’è una bufera di neve. C’è altro da aggiungere? Aspetta! Domani sarà l’anniversario della nascita di Jane Austen… e se le facessi qualche domanda? Anzi, un'intervista? Massì!! Quando mi ricapita un'occasione del genere?
Raccatto un po' di coraggio in fondo allo stomaco, ed è veramente poco, diciamolo pure. È la mia pazzia e l’incoscienza che faranno il resto.
"Signora, è un onore per me poterle parlare. Posso chiederle qualcosa di lei e dei suoi libri?"
“I miei libri? Qualcuno li legge ancora?” Non ci credo!"
“I suoi libri son amati da tutte le donne del mondo, sono considerati capolavori immortali!” le annuncio. “Non lo sapeva?”
“Ne avevo avuto sentore, un po’ di tempo fa ma non immaginavo che nel…a proposito, in che anno siamo?” “2010” balbetto sconvolta. È davvero Jane Austen.
“Ecco... i suoi uomini sono indimenticabili. Io amo tutti loro ma Mr. Darcy è e rimane il mio ideale. Come le è venuto in mente?” Uao! Il viso di Alessandra si illumina, riempiendosi di piacere. L’ho vista così solo il giorno che le ho presentato Oliver.
“Ah, Mr Darcy. Ritengo egli sia il mio personaggio maschile meglio riuscito. Ho sentito dire che che sia ritenuto uno degli uomini più amati della letteratura. Non voglio avere la presunzione di asserirlo io stessa ma nemmeno la falsa modestia di smentirlo. Indiscutibilmente egli per me lo è, e lo rimarrà sempre, sebbene io non voglia sminuire il fascino di uomini come il Capitano Wentworth o Mr Tilney. Darcy è sempre stato dentro di me. Attendeva solamente il momento opportuno per uscire dall'intimità della mia immaginazione e concretizzarsi nelle pagine di First Impressions, mio unico figlio adorato. E' stato per me un immenso piacere poter scrivere di lui, un uomo orgoglioso e altezzoso ma che incredibilmente riesce ad amare con un'intensità non comune per un'epoca in cui l'amore era solo un'effimera immaginazione di fanciulle che ancora indugiano in fantasie irrealizzabili."
Oddio. Parla come un libro stampato nell’Ottocento. E ora che ci penso, lei E' ottocentesca…
"E Lizzie Bennet..."
"Mah. Non capisco cosa abbiano tutti da dire su Lizzie" sbotta Alessandra - Jane. "Perchè nessuno parla della protagonista di Persuasion?" "Oh, la adoro anche io", ammetto. "Preferisce parlare di lei?" "Certamente. Mentre Lizzie Bennet rappresenta quel lato ironico, spigliato e arguto che emerge solo sfogliando le pagine dei miei romanzi, Anne Elliot è l'incarnazione perfetta della mia timida arrendevolezza. È colei che meglio mi rappresenta nella vita quotidiana che ho sempre vissuto. Lei ha rinunziato all'amore che ha avuto la fortuna di incontrare perché la sua famiglia l’ha convinta a desistere dallo sposare un perfetto signor nessuno, adducendo come pretesto la sua giovane età. Lei si fece persuadere reprimendo i suoi sentimenti per quell'uomo che anni dopo si trasforma in un capitano beffardo, ferito, ma ancora più orgoglioso di prima e che, nonostante il suo tradimento, non l'ha mai dimenticata. Nonostante le affinità tra le nostre personalità e i nostri comportamenti, Annie ha avuto una seconda possibilità per realizzare i propri sogni d'amore mentre io, Jane, giudicata la più perfetta artista tra le donne per l'immortalità dei miei libri, non sono stata altrettanto fortunata. Ho imbrigliato nei miei romanzi il perbenismo della mia epoca, ho criticato con spregiudicata ironia i costumi della società inglese, ma non ho avuto l’opportunità di essere felice. Nel profondo del cuore chi non sogna un matrimonio d'amore?”
Negli occhi di Alessandra brilla una lacrimuccia. Aiuto, aiuto! L’autrice famosa, o meglio, lo spirito dell’autrice famosa mi sta andando in crisi depressiva da abbandono amoroso. E che faccio? Mica sono una psicologa per trapassati! Cosa le dico: Coraggio, troverà lo spirito che fa per lei, prima o poi? Naaa… Meglio cambiare argomento. "E Bath? Adoro le atmosfere che descrive" la incalzo. Voglio farla parlare del mondo che descrive così bene, sperando di non causarle una nuova crisi di malinconia.
“Bath… La conoscevo bene, mia madre andava lì per curarsi, ed io con lei.” Sorride e all’improvviso, Alessandra e Jane sembrano simili: due ragazze che pensano a ricordi felici. “Bath era di gran moda nella mia epoca, ci si andava per vedere e per esser visti piuttosto che per curarsi. Ricordo le passeggiate nel pomeriggio, il sole che filtrava attraverso gli alberi delle strade che costeggiavano le Pump Room, le carrozze con i cavalli tirati a lucido…” Non ricordo che Jane Austen abbia mai descritto con tanta dovizia di particolari una carrozza. Sarà la solitudine dell’oltretomba?
La interrompo - con garbo - per evitare che finisca per descrivermi le portate dei pranzi formali.
“Davvero? Io non riesco a immaginare come fosse vivere là, nel suo… ahem… tempo.” Jane - e non Alessandra, stavolta la distinguo bene - mi scocca un’occhiataccia in tralice.
“Io sono soltanto una scrittrice per fanciulle. Non sarete una di quelle scalmanate che vuol sapere delle guerre, Napoleone e tutto il resto, spero.” Sì, penso. Poi sorrido candidamente e rispondo: “No, certo che no!”. “Meno male. Sapete, in tutti questi lunghi anni di…”. Le vedo corrugare la fronte, stringere le labbra in una smorfia perplessa. “Cielo, sapete che non mi sono mai chiesta se sono all’Inferno o in Paradiso? Secondo voi dove potrei essere?”
Sono. Inebetita. Centonovantatre anni di aldilà e chiede a una che sta nell’aldiquà dove può trovarsi?! Non credo che la sua sia stata una vita di droga, sesso, alcool e rock‘n roll: ragionevolmente dovrebbe essere finita nella parte alta della classifica.
“Paradiso?”, azzardo. “È molto probabile. Credo che l’unico peccato che ho portato dinanzi l’Onnipotente siano gli sbadigli soffocati durante i sermoni che leggeva mio padre.”
Poi mi scocca un sorriso obliquo e in quel momento comprendo che mi ha preso in giro. Eccola l’ironia di Jane Austen, quel suo mettere alla berlina la supponenza della gente, la sua fantastica, tagliente visione del mondo. Sorride, fissandomi con dolcezza.
“Stefania è stato un piacere inaspettato poter conversare con lei. Basta un semplice sfogliar di pagine per far rivivere i miei personaggi ma ben pochi sanno come sono stati creati e chi sia davvero la loro creatrice.Con questo colloquio spero che i lettori abbiano compreso l'essenza dei miei romanzi che, con delicatezza mi hanno accompagnata come fratelli sin dalla giovinezza fino all'età adulta. Spero che le mie parole, vergate su carta, possano regalare le splendide sensazioni che si sono avvicendate nel mio cuore quando le ho scritte nell'angolo del mio salottino illuminato dalla tenue luce mattutina, spero che riescano a trasportarvi in luoghi dell'anima dove vi piacerà risiedere. E adesso è il tempo di tornare nel mio silenzio. Addio, addio e grazie di aver pensato a me”.
Il vento soffia forte contro le finestre di Moray Place, portando una pioggerella mista a nevischio che sporca il selciato e segna con una sottile linea bianca i davanzali. Alessandra ed io siamo qui a parlare di libri e di progetti futuri, sprofondate nel comodissimo divano di seta moiré dello studio di Samuel.
"Loro" sono fuori. Non c'è bisogno che vi spieghi perché, giusto?
Scruto con occhi distratti la libreria di Samuel fino a che il mio sguardo non è attratto da un volume antico rivestito di marocchino. Alessandra, gli occhi curiosi, le lunghe gambe raccolte sotto di sé, mi osserva mentre lo prendo e lo sfoglio, pagina dopo pagina.
"Cos'è?" chiede lei, venendomi accanto.
"La prima edizione di Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen" rispondo, accarezzando con dita riverenti le pagine che hanno quasi due secoli. "Strano trovare un libro del genere nella biblioteca di un vampiro".
Mi stringo nelle spalle.
"Lo avrà acquistato per Emily" ipotizzo. La seconda di copertina mi smentisce clamorosamente. E' un regalo che Samuel ha fatto a Marianne, nel 1974. Ho un groppo alla gola.
“Davvero? Fa’ vedere un po’!” Alessandra non sembra accorgersi del mio turbamento: le cedo il volume e lei inizia a leggere l'inizio, uno degli incipit più celebri della storia della letteratura.
"E' una verità universalmente riconosciuta che uno scapolo..."
In questo momento, provo una profonda invidia per i miei amici immortali: sono stati più che testimoni del passato. L’hanno vissuto, hanno sentito il cigolare delle carrozze sul selciato di pietra, hanno osservato albe e tramonti in una nazione che stava per cambiare in maniera radicale…
Sì, lo so, sto scantonando come al solito. Scusate.
"Certo che Jane Austen doveva essere una tipa tosta". Alessandra annuisce convinta. "Una donna che ha rifiutato il matrimonio, che ha scritto per anni affrontando una società imbalsamata come quella inglese doveva essere davvero sicura di sé... o almeno penso che fosse così. Chissà come era davvero!"
"Potremmo fare una seduta spiritica per chiederglielo!" butto lì ridacchiando.
Lo sguardo di Alessandra, a metà tra il sorpreso e l'entusiasta, trasforma il risolino in una risata vera e propria.
"Giuuuuuuusto! Facciamo una seduta spiritica?"
Ok. Alessandra ha bevuto troppo whiskey. La mia faccia deve avere la stessa espressività di una parete intonacata in bianco. Alessandra annuisce vigorosamente e mi afferra il braccio con una stretta carica di energia.
"Non credo che sia il caso... Non è possibile..." azzardo, con una voce degna di Woody Allen dinanzi allo psichiatra che gli chiede perché adoperi sempre gli stessi occhiali dagli anni Sessanta a oggi.
"Dai! Proviamoci! Siamo in una residenza georgiana che trabocca vampiri e tu mi dici che non credi possibile fare una seduta spiritica?" Ops. Battuta sul mio stesso campo. "Alyssa ha un tavolino a tre piedi nel suo studio, non è vero?"
Accidenti. Alessandra è partita in quarta. Anzi, In sesta. E' scattata via, alla volta della stanza di Alyssa che ha - sicuramente - un tavolino a tre piedi. Georgiano, è ovvio.
"Ale, aspetta..." Niente da fare: è sparita. E meno male che è di casa qui, altrimenti l’avrebbero già bell’e dissanguata.
Torna dopo pochi istanti, sbuffando, con un tavolino di ciliegio tra le mani. La sua espressione dice solo una cosa: Let's do it!
Confesso di essere nervosa: tutto questo giocare con spiriti e bicchierini mi da un po' di fastidio, mi sento... strana. O sarà il temporale che ha sostituito la nevicata? Già. Adesso il vento non è più un soffio indiscreto ma un vero e proprio rombo, potente e violento, che si abbatte contro le pareti dell'abitazione, assieme a raffiche di pioggia.
"Ci manca solo Jack lo Squartatore dietro la tenda", mastico a mezza voce mentre Alessandra si siede dinanzi a me con aria ispirata. Perché ho parlato? Perché?
"Tu. Sei. Una. Fifona", mi deride. Prende le mie mani, gelide, nelle sue che sono calde e ferme.
"Non mi piace pasticciare con gli spiriti" ammetto guardandomi attorno.
"I morti devono restare dove stanno." L'occhiata di Alessandra è devastante quasi più della sua risata, carica di candido, purissimo sadismo.
"Tu sei l'ultima persona che può dire questo. Dov'è che è morto Oliver?" Taccio, è meglio. Molto meglio. Con aria ispirata, lei chiude gli occhi e alza il viso, quasi annusando l'aria. Alester Crowley era nessuno al suo confronto.
"Spiriti... anzi, no, aspetta. Spirito di Jane Austen..." "E già che ci siamo, anche di William Thackeray", aggiungo. Le scappa una risata. "Zitta!" mi rimprovera, riaprendo gli occhi.
Poi riprende, con voce talmente seria da essere quasi credibile.
Il colpo arriva, e pure bello forte. Un tonfo secco, che giunge da un punto indefinito della stanza e che, per un istante copre il fragore della tempesta.
Urlo, faccio un salto indietro, cerco di lasciare le mani di Alessandra ma non posso, non ce la faccio. La sua presa è ferrea, le mani sono artigliate ai miei polsi e il viso è terreo, gli occhi semichiusi.
Oddio, ha un infarto, è la prima cosa che penso. Adesso muore e la seduta spiritica la facciamo in diretta! Poi mi rendo conto che non è morta e nemmeno moribonda: è - semplicemente - in trance.
"Chi è che mi chiama?" Una voce matura, dolce e un po' nasale viene fuori dalle labbra della mia amica. Bene. Oltre la trance, è arrivato pure lo spirito. Lo spirito? Un fantasma. Un'entità soprannaturale. Uno spettro. Un ectoplasma... No, aspetta, quelli sono verdini o bianchicci e puzzano anche un po'. O era Ghostbusters? Deglutisco. Darei due... no, facciamo tre dita della mano (e mia suocera) per un bicchierino di quello forte. Uno spirito. Resto in attesa, poi Alessandra, o chi per lei, mi fissa con uno sguardo sarcastico. "Allora? Perché mi avete convocato, mortali?" Calma. Respiro, poi abbozzo un sorriso idiota e costringo le mie labbra a porre la domanda.
"Chi sei tu?" Il temporale è l'unico suono che si sente nella stanza, oltre ai nostri respiri: affannato il mio, lento e profondo quello di Alessandra.
"Sono uno spirito. E, nella mia vita mortale, il mio nome era Jane Austen."
Ahia. L'abbiamo combinata grossa. Provo a tirar via le mani da Alessandra ma lei non molla: mi tiene avvinghiata, tanto che mi formicolano le dita.
"Potrebbe allenare la presa sulle braccia? Sa, non vorrei che si bloccasse la circolazione…” cincischio.
La stretta si fa più forte: evidentemente non vuole mollarmi.
“No, eh?” D’accordo: sono costretta in una stanza di una dimora di vampiri con una medium che non sa di esserlo, in compagnia dello spirito di una famosa scrittrice e fuori c’è una bufera di neve. C’è altro da aggiungere? Aspetta! Domani sarà l’anniversario della nascita di Jane Austen… e se le facessi qualche domanda? Anzi, un'intervista? Massì!! Quando mi ricapita un'occasione del genere?
Raccatto un po' di coraggio in fondo allo stomaco, ed è veramente poco, diciamolo pure. È la mia pazzia e l’incoscienza che faranno il resto.
"Signora, è un onore per me poterle parlare. Posso chiederle qualcosa di lei e dei suoi libri?"
“I miei libri? Qualcuno li legge ancora?” Non ci credo!"
“I suoi libri son amati da tutte le donne del mondo, sono considerati capolavori immortali!” le annuncio. “Non lo sapeva?”
“Ne avevo avuto sentore, un po’ di tempo fa ma non immaginavo che nel…a proposito, in che anno siamo?” “2010” balbetto sconvolta. È davvero Jane Austen.
“Ecco... i suoi uomini sono indimenticabili. Io amo tutti loro ma Mr. Darcy è e rimane il mio ideale. Come le è venuto in mente?” Uao! Il viso di Alessandra si illumina, riempiendosi di piacere. L’ho vista così solo il giorno che le ho presentato Oliver.
“Ah, Mr Darcy. Ritengo egli sia il mio personaggio maschile meglio riuscito. Ho sentito dire che che sia ritenuto uno degli uomini più amati della letteratura. Non voglio avere la presunzione di asserirlo io stessa ma nemmeno la falsa modestia di smentirlo. Indiscutibilmente egli per me lo è, e lo rimarrà sempre, sebbene io non voglia sminuire il fascino di uomini come il Capitano Wentworth o Mr Tilney. Darcy è sempre stato dentro di me. Attendeva solamente il momento opportuno per uscire dall'intimità della mia immaginazione e concretizzarsi nelle pagine di First Impressions, mio unico figlio adorato. E' stato per me un immenso piacere poter scrivere di lui, un uomo orgoglioso e altezzoso ma che incredibilmente riesce ad amare con un'intensità non comune per un'epoca in cui l'amore era solo un'effimera immaginazione di fanciulle che ancora indugiano in fantasie irrealizzabili."
Oddio. Parla come un libro stampato nell’Ottocento. E ora che ci penso, lei E' ottocentesca…
"E Lizzie Bennet..."
"Mah. Non capisco cosa abbiano tutti da dire su Lizzie" sbotta Alessandra - Jane. "Perchè nessuno parla della protagonista di Persuasion?" "Oh, la adoro anche io", ammetto. "Preferisce parlare di lei?" "Certamente. Mentre Lizzie Bennet rappresenta quel lato ironico, spigliato e arguto che emerge solo sfogliando le pagine dei miei romanzi, Anne Elliot è l'incarnazione perfetta della mia timida arrendevolezza. È colei che meglio mi rappresenta nella vita quotidiana che ho sempre vissuto. Lei ha rinunziato all'amore che ha avuto la fortuna di incontrare perché la sua famiglia l’ha convinta a desistere dallo sposare un perfetto signor nessuno, adducendo come pretesto la sua giovane età. Lei si fece persuadere reprimendo i suoi sentimenti per quell'uomo che anni dopo si trasforma in un capitano beffardo, ferito, ma ancora più orgoglioso di prima e che, nonostante il suo tradimento, non l'ha mai dimenticata. Nonostante le affinità tra le nostre personalità e i nostri comportamenti, Annie ha avuto una seconda possibilità per realizzare i propri sogni d'amore mentre io, Jane, giudicata la più perfetta artista tra le donne per l'immortalità dei miei libri, non sono stata altrettanto fortunata. Ho imbrigliato nei miei romanzi il perbenismo della mia epoca, ho criticato con spregiudicata ironia i costumi della società inglese, ma non ho avuto l’opportunità di essere felice. Nel profondo del cuore chi non sogna un matrimonio d'amore?”
Negli occhi di Alessandra brilla una lacrimuccia. Aiuto, aiuto! L’autrice famosa, o meglio, lo spirito dell’autrice famosa mi sta andando in crisi depressiva da abbandono amoroso. E che faccio? Mica sono una psicologa per trapassati! Cosa le dico: Coraggio, troverà lo spirito che fa per lei, prima o poi? Naaa… Meglio cambiare argomento. "E Bath? Adoro le atmosfere che descrive" la incalzo. Voglio farla parlare del mondo che descrive così bene, sperando di non causarle una nuova crisi di malinconia.
“Bath… La conoscevo bene, mia madre andava lì per curarsi, ed io con lei.” Sorride e all’improvviso, Alessandra e Jane sembrano simili: due ragazze che pensano a ricordi felici. “Bath era di gran moda nella mia epoca, ci si andava per vedere e per esser visti piuttosto che per curarsi. Ricordo le passeggiate nel pomeriggio, il sole che filtrava attraverso gli alberi delle strade che costeggiavano le Pump Room, le carrozze con i cavalli tirati a lucido…” Non ricordo che Jane Austen abbia mai descritto con tanta dovizia di particolari una carrozza. Sarà la solitudine dell’oltretomba?
La interrompo - con garbo - per evitare che finisca per descrivermi le portate dei pranzi formali.
“Davvero? Io non riesco a immaginare come fosse vivere là, nel suo… ahem… tempo.” Jane - e non Alessandra, stavolta la distinguo bene - mi scocca un’occhiataccia in tralice.
“Io sono soltanto una scrittrice per fanciulle. Non sarete una di quelle scalmanate che vuol sapere delle guerre, Napoleone e tutto il resto, spero.” Sì, penso. Poi sorrido candidamente e rispondo: “No, certo che no!”. “Meno male. Sapete, in tutti questi lunghi anni di…”. Le vedo corrugare la fronte, stringere le labbra in una smorfia perplessa. “Cielo, sapete che non mi sono mai chiesta se sono all’Inferno o in Paradiso? Secondo voi dove potrei essere?”
Sono. Inebetita. Centonovantatre anni di aldilà e chiede a una che sta nell’aldiquà dove può trovarsi?! Non credo che la sua sia stata una vita di droga, sesso, alcool e rock‘n roll: ragionevolmente dovrebbe essere finita nella parte alta della classifica.
“Paradiso?”, azzardo. “È molto probabile. Credo che l’unico peccato che ho portato dinanzi l’Onnipotente siano gli sbadigli soffocati durante i sermoni che leggeva mio padre.”
Poi mi scocca un sorriso obliquo e in quel momento comprendo che mi ha preso in giro. Eccola l’ironia di Jane Austen, quel suo mettere alla berlina la supponenza della gente, la sua fantastica, tagliente visione del mondo. Sorride, fissandomi con dolcezza.
“Stefania è stato un piacere inaspettato poter conversare con lei. Basta un semplice sfogliar di pagine per far rivivere i miei personaggi ma ben pochi sanno come sono stati creati e chi sia davvero la loro creatrice.Con questo colloquio spero che i lettori abbiano compreso l'essenza dei miei romanzi che, con delicatezza mi hanno accompagnata come fratelli sin dalla giovinezza fino all'età adulta. Spero che le mie parole, vergate su carta, possano regalare le splendide sensazioni che si sono avvicendate nel mio cuore quando le ho scritte nell'angolo del mio salottino illuminato dalla tenue luce mattutina, spero che riescano a trasportarvi in luoghi dell'anima dove vi piacerà risiedere. E adesso è il tempo di tornare nel mio silenzio. Addio, addio e grazie di aver pensato a me”.
Alessandra sospira con forza, si accascia sulla sedia. È pallida, sudata ma respira normalmente e finalmente le sue mani lasciano le mie. “Ale”, la chiamo, timorosa. “Mmh” bofonchia. “Che è? Ho un mal di testa pazzesco! Che è successo?”. “Oh, nulla. Ho solo scoperto che sei una medium e abbiamo appena avuto un’intervista ESCLUSIVA con Jane Austen”.
“Stai scherzando?” sbotta a occhi spalancati e la mandibola in caduta libera. Sembra una bambina dinanzi una vera casetta di marzapane.
“No” annuisco soddisfatta. “E anzi… che ne dici di ripeterla con Shakespeare?”“Stai scherzando?” sbotta a occhi spalancati e la mandibola in caduta libera. Sembra una bambina dinanzi una vera casetta di marzapane.
Bellissimo!!!
RispondiEliminaE auguri Jane!